I punti per la discussione nell’assemblea nazionale di Eurostop

Dall’assemblea costitutiva di Eurostop (luglio 2017) è passato poco più di un anno, ma questi mesi sono stati pieni di novità e cambiamenti che richiedono una messa a fuoco politica e generale dell’azione della Piattaforma Eurostop.
Nell’anno trascorso abbiamo tenuto due assemblee nazionali di messa a punto politica, la prima a dicembre 2017 (a Roma) per discutere il rapporto con l’allora nascente esperienza di Potere al Popolo, la seconda a marzo 2018 (Bologna) per discutere la situazione dopo le elezioni e definire le campagne politiche (legge di iniziativa popolare per il referendum sui Trattati europei).

1) Rispetto all’assemblea costituiva sono intervenuti cambiamenti sia nello scenario politico che nel ruolo soggettivo di Eurostop. Alcuni compagni ci hanno lasciato in dissenso con la scelta di partecipare alle elezioni con Potere al Popolo, Altri si sono avvicinati proprio grazie a questa scelta. Altri ancora hanno deciso di continuare la loro partecipazione alla Piattaforma Eurostop ma di non essere interni all’esperienza di Potere al Popolo.
La decisione di aderire a Potere al Popolo e condividerne il percorso presa nell’assemblea di dicembre 2017 e confermata in quella di marzo 2018, è stata riaffermata anche nelle riunioni del Coordinamento Nazionale tenutesi nei mesi scorsi, inclusa quella di sabato 1 settembre.
Il bilancio complessivo che facciamo di questa decisione continua ad essere positivo e stiamo dando un contributo fattivo alla definizione di Potere al Popolo come soggetto politico che assuma con forza la sfida della rappresentanza politica del blocco sociale antagonista nel nostro paese.

2) Nel contempo è cambiato lo scenario politico con cui ci troviamo a fare i conti. E’ cambiato sul piano internazionale con lo scatenamento delle guerre commerciali, anche tra Stati Uniti ed Unione Europea, con il manifestarsi di spinte alla rottura del monopolio statunitense nelle transazioni e nelle relazioni economiche internazionali, con il riaffacciarsi di crisi finanziarie (per ora nella periferia come Turchia e Argentina), con una acutizzazione delle tensioni internazionali in molti teatri di crisi.
Anche dentro l’Unione Europea si assiste ad una crescente tensione interna, accentuatasi dopo la Brexit. Sta emergendo un europeismo di stampo nazionalista e reazionario che non mette in discussione la struttura ma la declina in chiave euronazionalista. Questa componente viene liquidata come sovranista e populista dalle agenzie di comunicazione mainstream e viene utilizzata come spauracchio dalle forze europeiste liberali ancora egemoni nel nucleo duro dell’Unione Europea (Francia, Germania) per mantenere la struttura di comando attuale e anzi rafforzarne il carattere coercitivo interno e quello imperialista sul piano internazionale, ormai anche sul piano militare.

3) Dentro questa contraddizione, nelle elezioni in Italia hanno prevalso forze diverse da quelle liberali ed europeiste tradizionali (Pd, Forza Italia) e si è formato un nuovo governo che le ha escluse. Il governo “a tre” (M5S,Lega, professori) segna indubbiamente una discontinuità con i governi precedenti e la declina sia in modo apertamente reazionario sia anti-establishment, con i professori che hanno il ruolo di cercare continuamente i punti di connessione e compromesso con i diktat dell’Unione Europea evitando ogni seria rottura.
In questo contesto gli scenari sono almeno due:

a) se il governo va in crisi per le pressioni esterne che già si stanno manifestando (spread, ingerenze della Ue e della finanza) e per le contraddizioni interne tra Lega e M5S, si riapre la partita tra le vecchie classi dirigenti e quelle emerse con queste elezioni.

b) Se il governo supera il passaggio della Legge di Stabilità, mangia il panettone e arriva alle elezioni europee, significa che una nuova classe dirigente ha soppiantato quella vecchia, come avvenuto nel 1992 con Tangentopoli che portò alla fine della Dc, del Psi e, diversamente, del Pci che si era sciolto per motivi diversi. Nelle elezioni europee, le maggioranze interne al governo potrebbero cambiare, consegnando alla Lega il ruolo di azionista di maggioranza rispetto al M5S.
Eurostop, e a nostro avviso Potere al Popolo, devono attrezzarsi in presenza di entrambi gli scenari, perseguendo la costruzione di un polo politico indipendente e rifiutando ogni richiamo della foresta del Pd, de La Repubblica etc. a ricomporre la “sinistra” come massa di manovra utile per riportare al governo questo ceto politico responsabile di misfatti e disastri sociali indicibili. I diciassette anni di “antiberlusconismo” hanno prodotto misure antipopolari e governi subalterni ai diktat dell’Unione Europea (Prodi, Monti, Renzi), che hanno azzerato la sinistra e l’hanno resa invisa e odiosa ai settori popolari.

La strumentalizzazione dell’antirazzismo da parte del Pd come terreno di ricomposizione della sua massa di manovra elettorale va denunciata e contrastata. L’antirazzismo, come l’antifascismo, è una pratica militante che ha possibilità di diventare popolare solo se viene coniugato con la lotta contro i poteri forti. Al contrario il Pd e la “sinistra” sostengono che i poteri forti (l’Unione Europea, le imprese e le banche) sono una garanzia per la tenuta di un sistema liberale capace di tutelare i diritti civili anche se affossa sistematicamente i diritti sociali.
In questo sta anche la “questione sindacale”. Da un lato i sindacati che hanno svenduto e capitolato su tutto (ultimo in ordine di tempo il welfare aziendale) si ributtano nella mischia come se non avessero alcuna responsabilità, dall’altro sta invece entrando in campo un sindacalismo di classe intorno all’Usb che lavora efficacemente alla ricomposizione dei settori sociali portandoli al conflitto su tutti i terreni, incluso quello della discriminazione razziale, ma legandola e non separandola dalla condizione di classe complessiva e dalla dimensione generale dello scontro.
La polarizzazione tra “liberali” e “nazionalisti” avanzata da Macron, ma anche dalla sinistra italiana, va rifiutata perseguendo la strada di un percorso politico indipendente e orientato a ricostruire l’identità e l’organizzazione dei settori popolari che hanno affidato a Lega e M5S le loro aspettative. Nell’assemblea nazionale del Dicembre 2017 abbiamo decretato la nostra alterità ed estraneità con la “sinistra” residuale in Italia. Riteniamo che questa rottura di identità, cultura politica e contenuti vada riaffermata anche in questo scenario.
Ma la contraddizione colta con la nascita della Piattaforma Eurostop, quella della rottura con l’Unione Europea come presupposto per una alternativa di sistema, oggi sta emergendo anche a livello delle forze popolari e progressiste in Europa. L’accelerazione sulla proposta del “Piano B” da parte della France Insoumise di Melenchon, sta scompaginando le ambiguità della sinistra europea che continua a gingillarsi su una vaga dimensione antiliberista dell’opposizione. L’esperienza negativa del governo Tsipras ha funzionato un po’ da parametro sulle strade da non perseguire per opporre un progetto alternativo ai diktat della Ue e delle classi dominanti in Europa. Il dibattito che si è aperto intorno al Piano B come punto su cui aggregare e ricostruire un movimento popolare, di classe e internazionalista nei vari paesi europei è di straordinario interesse e potenzialità. Ad esso guardiamo con interesse, anche in previsione delle elezioni europee.

4) Eurostop in questi mesi ha lanciato delle campagne politiche e di massa che possono sparigliare sia le ambiguità della sinistra che quelle del M5S e collocare l’opposizione alle forze reazionarie su un terreno efficace.
In primo luogo la Legge di Iniziativa Popolare per ottenere i referendum sui Trattati Europei e quella per l’abolizione dell’art.81 imposto alla Costituzione dal governo Monti e dalla Bce.
Su entrambe le leggi di iniziativa popolare dobbiamo riuscire a raccogliere le firme necessarie, consegnarle in Parlamento e farne un fatto politico, non solo per i loro contenuti dirompenti ma anche perché la “sinistra” o le ha osteggiate (il referendum) o le ha abbondonate perché non ha più la “forza delle gambe degli uomini e delle donne per far marciare le idee”. Non solo. Probabilmente è intervenuto anche un elemento di opportunismo che ha fatto rinunciare alla campagna sull’art.81 quando, dopo le elezioni, questo terreno è stato ritenuto troppo contiguo ad alcune delle dichiarazioni del nuovo governo (il M5S ha presentato un disegno di legge per abolire l’art.81). Una logica questa radicalmente diversa dalla nostra che invece riteniamo che le contraddizioni vadano colte e accentuate ma non esorcizzate.
Questa campagna su referendum e art.81 è una questione di democrazia ma anche una indicazione del nemico principale e una visione alternativa sull’Unione Europea. Abbiamo affermato che la Ue non è riformabile, quindi va combattuta e smontata mettendo in campo una alternativa di integrazione regionale sganciata dai parametri ordoliberisti e dalle ambizioni coloniali verso i paesi del Mediterraneo sud. E’ una ipotesi che recupera molto dalla elaborazione di un marxista e anticolonialista come Samir Amin, scomparso recentemente e ostracizzato proprio dalla sinistra italiana ed europea per le sue tesi sullo “sganciamento” dal mercato mondiale come alternativa. Nasce da questo la proposta di un’Area Alternativa Euromediterranea, indicata come ipotesi anche nel “Piano B”, che presenteremo pubblicamente nelle prossime settimane.
Infine, ma non per importanza, la sfida sulle contraddizioni interne al nuovo governo e tra governo e settori popolari che gli hanno affidato le loro aspettative, va giocata anche su un nodo politico ben presente nel programma di Eurostop: il ruolo dello Stato e le nazionalizzazioni.
Su questo si apre una battaglia a tutto campo contro le conseguenze della svendita dei beni pubblici avvenuta sistematicamente dagli anni ’90 in poi con una perfetta sincronia tra governi di centro-sinistra e di centro-destra. Le privatizzazioni e le migliaia di concessioni ai “prenditori privati”, hanno rafforzato un capitalismo bollettaro e parassitario che vive di zero rischi di impresa, ha la remunerazione assicurata dalle concessioni e in nome del profitto mette a rischio le condizioni di vita e la sicurezza della popolazione. Il crollo del Ponte di Genova ha reso questa vergogna palese a tutti.
E’ evidente che solo lo Stato o comunque un soggetto pubblico ha la possibilità di gestire i beni collettivi. Sulla primazia degli interessi collettivi rispetto a quelli privati anche la Costituzione è esplicita. Questo apre il terreno per una battaglia generale sulle nazionalizzazioni dei settori strategici dell’economia e per le reinternazionalizzazioni nei servizi che in questi anni hanno esteso enormemente la precarietà del lavoro e la distruzione del welfare. Le mobilitazioni di autunno stanno mettendo al centro questo tema – a cominciare dalla manifestazione nazionale del prossimo 20 ottobre – insieme a quello dell’antirazzismo di classe e dell’antifascismo militante.