Quattro “campi” per l’identità di Eurostop

Oggi ad inizio 2017 siamo di fronte ad una ripresa dell’intervento di Eurostop, impostato nell’assemblea del 28 Gennaio, che non si vuole limitare alla promozione di pur importanti iniziative ma costruire uno strumento politico unitario credibile e stabile nel contesto nazionale. Un obiettivo che non sappiamo ancora che forme e che esiti potrà avere ma che è un risultato del nostro lavoro collettivo svolto nella fase referendaria con le mobilitazioni del 21 e 22 Ottobre ma soprattutto con l’esito referendario che ha avallato appieno la nostra analisi e posizione sul No Sociale.

Per fare un reale passo in avanti è però necessario riflettere sulle dinamiche generali che ci hanno portato fin qui in quanto ci fornisce una corretta chiave di lettura di una traiettoria politica iniziata nel nostro paese almeno sei anni fa. Il primo passaggio è stato quello delle crisi del debito nel sud Europa quando il condizionamento delle politiche nazionali da parte dell’UE appariva sempre più evidente, anche se in quella fase la “vittima” fu Silvio Berlusconi. La sinistra di “movimento”, incluso il PRC, tentò di abbozzare una risposta unitaria con la costituzione del Comitato NO Debito nel 2011 il quale fu di fatto una comitato di scopo che non poteva durare oltre alcune iniziative che pure riuscirono, come l’assemblea del 1° Ottobre tenuta all’Ambra Jovinelli di Roma, a cui parteciparono oltre mille persone, ed il NO Monti Day. Ad un certo punto di quel percorso apparve evidente l’inadeguatezza della base politica di un comitato di scopo di fronte all’aggressività delle istituzioni europee. Queste, infatti, stavano mettendo sotto pressione non solo il nostro paese ma, in modo ancora più arrogante, il popolo greco con le politiche di austerità ben note tanto che, addirittura, nel 2012 la Germania arrivò a proporre di trasferire la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles.

Di fronte al successivo acuirsi della crisi furono fatti negli anni altri tentativi che pure mostrarono limiti politici. Oltre quelli fatti dentro l’ambito della sinistra “radicale” nei diversi momenti elettorali ci fu quello di dar vita a Ross@ che ha tentato di elaborare un discorso più organico sulla Rappresentanza Politica (e non principalmente istituzionale) del blocco sociale. Anche in questo caso la riuscita delle iniziative politiche e di mobilitazione, ad esempio il contributo politico ricompositivo dato alle giornate del 18 e 19 Ottobre del 2013, non portò ad una sintesi. Nei mesi successivi a quelle mobilitazioni da una parte un movimentismo poco lucido e dall’altra la solita scadenza elettorale con le europee del 2014 riuscirono a frenare la crescita di una prospettiva unitaria ed organica della sinistra di classe.

Il tratto in continuità, ma politicamente insufficiente, delle fasi precedenti descritte è stato l’avanzare della crisi sociale generata dalla costruzione europea che ha minato nel tempo le stesse basi del sistema politico istituzionale e che solo oggi si sta manifestando palesemente in Italia e negli altri paesi europei.

Dunque l’ipotesi di Eurostop riprende una prospettiva politica con una base di partenza abbastanza larga sia sul piano sindacale, oltre l’USB sta partecipando anche l’Unicobas, e quello politico, stanno partecipando anche parti del mondo democratico, sapendo di dover fare i conti anche con i limiti delle esperienze predenti, tutte. Ciò avviene in un contesto aggravato su diversi fronti:

  • Quello sociale con il precipitare della condizione perfino dei cosiddetti “ceti medi” per non parlare degli altri cioè i settori popolari ed operai

  • quello politico istituzionale che sta squassando partiti ed alleanze di cui la crisi del PD ne è il fenomeno più evidente. Infine anche la sinistra “radicale” dopo un logoramento che va avanti dal 2008, data di uscita dal parlamento, si trova di fronte alla scelta di schierarsi o sull’ipotesi Dalemiana/Bersaniana o su quella di Vendola, che non sembra poi molto diversa dalla prima.

  • Questo è un contesto dove la necessità della indipendenza politica sta divenendo un presupposto ineludibile per salvaguardare qualsiasi esperienza di classe, sia di tipo sociale che politico. Anche l’ esperienza del M5S, pur avendo avuto una funzione di rottura politica nello scenario nazionale, sta mostrando tutti i limiti del settore sociale che lo compone e non tanto del sui gruppo dirigente: la piccola borghesia produttiva e professionale che non è in grado di affermare una capacità di direzione duratura sul resto della società. La vicenda della giunta Raggi contiene tutti questi elementi contraddittori che stanno gradualmente minando quel movimento anche se le vicissitudini politiche e giudiziarie del PD gli offrono ancora spazi.

E’ importante oggettivare la dinamica politica nella quale siamo stati immersi e manifestatasi in questi anni che, seppure in modo contraddittorio, indica un orientamento dove la questione dell’indipendenza politica dei settori di classe trova sempre più ragioni di affermazione.

Su questa evoluzione si innesta la fase odierna di ridefinizione di Eurostop sulle cui caratteristiche è utile soffermarci un momento per capire come procedere. Di fatto oggi Eurostop ha due caratteristiche:

  • la prima, più direttamente politica, è quella di una serie di forze ed individualità comuniste, di sinistra e democratiche che si sono incaricate di coprire uno spazio politico che nessuno oggi pensa, neanche a sinistra, di dover rappresentare. Concretamente la parola d’ordine di “NO EURO, NO UE e NO NATO” sintetizza il piano della rappresentazione e della battaglia politica che riteniamo collettivamente possibile portare avanti.

  • la seconda è che a questa battaglia politica sono legate forze sindacali e sociali che fanno parte del fronte che sta promuovendo le iniziative, forze limitate ma che sono radicate e che hanno avuto la volontà e la capacità di mantenere l’iniziativa politica generale. Parliamo, in primo luogo, dell’USB sul piano nazionale ma anche della Carovana delle Periferie di Roma, dell’intervento sociale a Napoli e di un radicamento articolato in Emilia grazie anche alla tenuta di Ross@ in quella regione. Oltre a questi organismi che hanno una strutturazione sociale più solida, ci sono altri insediamenti in altre città e regioni più deboli ma che segnano comunque la presenza politica di Eurostop.

Il punto politico che ci si presenta oggi, di fronte alle ulteriori evoluzioni strutturali e politiche della situazione, è se crediamo che Eurostop possa crescere mantenendo il “modello” attuale oppure che ci si debba porre obiettivi da raggiungere e dunque capire di quale progettualità ci si debba dotare. Considerando la complessiva velocizzazione delle contraddizioni il rischio è che l’assetto politico ed organizzativo attuale possa divenire altrettanto velocemente inadeguato. Nel caso in cui questa valutazione fosse condivisa possiamo dire che la condizione attuale di Eurostop è una base valida proprio per progettare i passaggi e le “tappe” da individuare assieme per tenere testa alle evoluzioni della situazione.

Va perciò capito di quale progetto dotarci; la prima questione che ci si pone è quella di definire le interlocuzioni che possano far crescere l’esperienza e la forza di Eurostop avendo come obiettivo quello di una ricomposizione politica dei settori di classe, sociali e politico/culturali diversi e oggi disgregati.

Naturalmente una possibilità di crescita effettiva può essere data solo dallo sviluppo delle contraddizioni concrete ma è necessario definire un soggetto che si predisponga a recepirlo politicamente avendole individuate.

In questo senso il primo interlocutore non può che essere quello che abbiamo spesso in modo approssimativo definito “blocco sociale” che oggi è stato talmente disgregato e sottoposto al “tritacarne” produttivo e sociale, oltre che politico ed ideologico, tanto da rendere i settori di classe disponibili a rappresentazioni lontane da quelle storiche della sinistra e che oggi vengono definite populiste. Su questo va fatta una necessaria analisi ed elaborazione ma se da una parte questo blocco sociale va rappresentato politicamente non possiamo pensare di farlo limitandoci ad essere il riflesso passivo della sua condizione “naturale” attuale prodotta negli anni passati dalla egemonia dell’avversario di classe. E’ sbagliato dare un giudizio pregiudiziale sulle forme contraddittorie in cui si manifesta il disaggio del blocco sociale ma bisogna porsi come forza di orientamento non solo politico ed organizzativo ma anche valoriale e sui principi.

Ricomposizione però vuol dire recuperare ad una prospettiva indipendente anche quei settori comunisti, di sinistra e democratici oggi disorientati dalla crisi politica e morale attuale e che non si ritrovano dentro partiti o schieramenti politici sempre più indistinguibili e subalterni ai poteri economici che oggi determinano i caratteri dell’attuale e degradata società.

Nel merito

Come detto la battaglia politica di Eurostop sono i tre NO in quanto sono una posizione radicale e coprono uno spazio politico abbandonato anche dalla sinistra “antagonista” in particolare sulla questione della Unione Europea. Anche la questione organizzativa, cioè come mettiamo in relazione stabile strutture collettive e individualità, è un passaggio importante in quanto è la condizione per praticare la battaglia politica e la relazione strutturata con il “blocco sociale”. In queste riflessioni comunque non si affronta la questione della strutturazione organizzativa, questa che è una discussione iniziata all’ultimo coordinamento nazionale ma che va ripresa e definita nelle sue possibilità reali in vista dell’assemblea nazionale del 26 Marzo.

Quello che qui si vuole mettere in evidenza è la questione dell’identità di Eurostop in relazione alle interlocuzioni che sono state sopra richiamate, questa però non può limitarsi al solo “qui ed ora” in quanto siamo dentro un processo di crisi senza sbocchi (possiamo richiamare la crisi economica e sociale, Trump e il riarmo etc. etc. sui quali abbiamo tutti più o meno le stesse idee) che procederà e che sta già facendo emergere la necessità del cambiamento generale, della “rivoluzione”. Ovviamente questa è una forzatura per indicare la prospettiva politica, ma nessuno oggi pensa, soprattutto l’avversario di classe, che non ci si stia avviando verso un cambiamento radicale di cui non possiamo ora sapere il segno ma che “incombe” sulle attuali classi dominanti; in questo senso va compreso che questa volta sono “lorsignori” ad essere in crisi.

Il tentativo che va fatto è quello di definire un’ identità che tenga conto del cambiamento radicale che si sta manifestando sotto i nostri occhi e che si presenti in modo organico sul piano dei contenuti e convincente su quello della relazione di massa; si possono ipotizzare quattro “campi” su cui costruire questa identità che qui vengono tracciati in modo abbastanza sommario ma che, se condivisi, andranno approfonditi e fatti oggetto di una ulteriore elaborazione e rappresentazione collettiva.

Il primo è quello della definizione del nemico, non dell’avversario, va detto con chiarezza che il nemico è il capitalismo ma declinandolo nelle forme in cui si presenta oggi nei paesi imperialisti ovvero nella forma finanziaria (banche, debito pubblico, etc), nel ruolo socialmente devastante delle multinazionali a cominciare da quelli europee (qui gli elementi di percezione sociali sono moltissimi dai licenziamenti nella produzione ai tassisti, agli agricoltori e non andiamo oltre), nell’UE che ne è il suo braccio politico istituzionale che ha prodotto con le sue politiche economiche le diverse crisi del debito . Questo capitolo del capitalismo moderno si sta arricchendo di un elemento nuovo che è quello della competizione pure militare in particolare con gli USA oltre che con la Russia, come ha recentemente ricordato commissario Moscovici intervenendo al Senato, il che rimanda alla questione della guerra le cui forme non sono necessariamente quelle delle due guerre mondiali che abbiamo conosciuto. In tal senso chiamare fuori i popoli esplicitamente da questo conflitto e dalla chiamata a stringersi intorno alla UE come faro della civiltà liberale diviene un ulteriore elemento di identità direttamente proporzionale alla crescita della competizione internazionale. Questi elementi in realtà sono stati sempre presenti in una qualche misura negli ultimi decenni ma la differenza è che adesso non si riesce più a mistificarli, a nasconderli, agli occhi dei popoli e noi dobbiamo rafforzare, motivare e strutturare questa percezione di massa parlando appunto del nemico.

Il capitale privato, nelle sue molteplici forme, e la UE come strumento di coercizione politica ci rimanda direttamente alla questione del ruolo dello Stato, della sua funzione sociale e politica e soprattutto di come noi lo concepiamo nelle prospettive. Qui si pone alla base un nodo di fondo che è quello classico della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali che se sul piano teorico è solo un’enunciazione nella realtà significa asservimento dello sviluppo (scientifico, tecnologico e sociale) al capitale e dunque impoverimento generale, disoccupazione, precarietà come condizione esistenziale. Questi processi vengono ormai percepiti nella parte penalizzata della società come una contraddizione tra le aspettative (maturate in una società apparentemente opulente) e realtà che oggi si presenta in tutta la sua brutalità e senza alternative, soprattutto ai settori giovanili. Torna cosi centrale la questione del lavoro e dei lavoratori nelle forme moderne, in cui la formazione svolge un ruolo centrale, e la battaglia per uno sviluppo generale al servizio della società e per la riduzione dell’orario di lavoro di fronte ad una disoccupazione ormai palesemente tecnologica.

Questo carattere non riguarda oggi solo il capitalismo occidentale ma ormai la disoccupazione tecnologica (prodotta anche dal processo di equiparazione dei salari a livello internazionale) si comincia a presentare in quella che prima era considerata la periferia produttiva. Qui c’è il nocciolo duro dell’attuale sviluppo distorto causato dal capitalismo ma a questo si aggiungono questioni fondamentali quali la distribuzione della ricchezza in un mondo dove aumentano le disuguaglianze (vedi per noi la battaglia sul reddito sociale, di cittadinanza etc.); ed anche quella della democrazia di fronte a processi di centralizzazione decisionale come quelli che stanno avvenendo con la costruzione dell’UE. Altri ancora sono gli effetti che non rendono più ostativo per noi parlare di funzione sociale dello Stato; funzione sociale dello Stato intesa nel senso dei suoi fini generali e non solo del Welfare quale prodotto della passata mediazione sociale, oggi improponibile per la dimensione internazionale del capitale. Dunque il Socialismo come ipotesi di cambiamento possibile può essere legittimamente riproposto come posizione e, in una fase di crisi e di transizione storica, come opzione credibile che possiamo mettere pubblicamente sul campo. Questi sono per ora solo ragionamenti di massima che ovviamente vanno completati e rafforzati sul piano dei contenuti e della rappresentazione da costruire verso i settori sociali.

Esiste anche una questione di etica e di valori che sta generando una rivolta morale dei settori sociali subalterni. In passato questa questione seppure presente, vedi la corruzione della DC dal dopoguerra, era stata messa in secondo piano dal conflitto di classe esplicito ed il clientelismo e la corruzione erano praticate e giustificate come collante sociale del blocco di potere della borghesia nazionale del nostro paese. Oggi la questione si pone in modo molto diverso e la questione delle disuguaglianze e della corruzione appaiono insostenibili per una parte della popolazione provocando una rivolta morale che però dovrà fare i conti con una immodificabilità della situazione. Infatti questi aspetti sono parte costituente del capitalismo moderno ed in particolare la corruzione, che non è un fenomeno solo italiano, è prodotta dall’asservimento dello Stato al capitale privato ingenerando l’intreccio perverso tra politica ed economia.

Questa situazione già da molti anni sta producendo fenomeni politici di cui il M5S ne è l’ultima versione; (prima c’era stata la Rete di Orlando, il popolo Viola, l’Italia dei Valori). Dagli anni ’90 si parla ripetutamente di rivolta della “società civile” la quale però arrivata nelle istituzioni, spesso in modo inaspettato, ha generato “mostri” che nulla avevano da invidiare al ceto politico dei partiti. Il terreno della alterità sui principi non può essere ignorato da chi, come noi, intende rapportarsi direttamente alla società ed alle sue contraddizioni; sapendo però che questo è un terreno problematico in quanto l’ideologia, intesa come visione delle relazioni sociali, delle classi subalterne è stata conformata nel tempo dall’egemonia e dai valori del suo antagonista di classe. Onestà, eguaglianza, politica intesa come servizio disinteressato, priorità del bene comune contro l’individualismo e della cultura del tutti contro tutti, etc. sono le questioni che dobbiamo cominciare a saper maneggiare nella relazione di massa essendo coscienti che ci saranno delle resistenze nei nostri stessi referenti sociali in quanto, in particolare l’individualismo e la competizione, è ben radicata nel degrado civile ed etico della società.

Classi, popoli, Stati e internazionalismo sono questioni sulle quali dovremo sapere andare a fondo nella nostra discussione e nella rappresentazione della proposta. E’ una discussione che stiamo già facendo e che deve fare i conti con un processo particolarmente contraddittorio per i paesi dell’Unione Europea in quanto se la base materiale, produttiva, finanziaria e nella sua componente della forza lavoro (emigrazione/immigrazione), ha superato la dimensione nazionale il piano politico e istituzionale rimane ancora ancorato a quella dimensione. Va anche ricordato che, se per l’UE si pone un problema di forma istituzionale ancora indefinita, in tutto il mondo si vanno configurando blocchi geopolitici ed economici generati dalla potenza raggiunta delle forze produttive che tendono a superare la sola dimensione nazionale; Oltre l’UE/Eurozona basta ricordare il NAFTA per il Nord America o l’ALBA per il continente latinoamericano ed anche l’Africa meridionale attorno al Sud Africa o i paesi arabi sunniti con alla testa l’Arabia Saudita.

Nel nostro intervento dobbiamo saper relazionare questi due livelli, ambedue reali, trovando un equilibrio. Abbiamo già detto che se la base del conflitto di classe, e dunque della sedimentazione concreta delle forze politiche e sociali per noi necessaria, è nazionale ed è una condizione ineludibile dobbiamo saper proporre nella nostra identità un orizzonte più ampio, dunque internazionale ed internazionalista, per non farci chiudere in una visione politica dove le forze reazionarie hanno obiettivamente più possibilità di affermazione. Questo non è solo un piano teorico o di semplice rappresentazione ma soprattutto politico e pratico e deve tenere conto, per essere presentato in modo credibile al blocco sociale, delle contraddizioni che emergono nella costruzione della UE. Quella più evidente e percettibile, che oggi ci può far sfuggire dalla sola dimensione nazionalista nella proposta politica, è la contraddizione molto concreta tra Nord e Sud Europa ovvero della costruzione di un centro e di una periferia nell’Unione Europea prodotti da un processo di gerarchizzazione per Classi e Stati imposta dalla competizione globale che sta assumendo anche le forme di una competizione interimperialista. Se fosse ancora necessario dimostrare che questa è la tendenza la proposta fatta della UE a più velocità aggiunge un’altro tassello al “puzzle”.

E’ dentro i processi a tutti visibili di competizione e di gerarchizzazione che si pone la questione della emigrazione/immigrazione che è un terreno di conflitto ideologico e divisivo per il nostro blocco sociale; tale problema ora è emerso nella nostra discussione e dobbiamo cominciare ad affrontarlo individuando il punto di partenza del confronto.

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