Il coronavirus e la voragine sotto i piedi dell’Unione Europea

L’Unione Europea non esiste. Deve solo decidere se ammetterlo pubblicamente, sciogliendo molti vincoli, oppure fingere che si possa riempire velocemente una voragine mai come stavolta evidente.

E’ ovvio che la soluzione finale sarà la seconda, se non altro per evitare un nuovo terremoto sui mercati. Ma trovare soluzioni efficaci – che è cosa molto diversa da condivise, anzi praticamente l’opposto – non sarà per niente semplice. Pandemia e crisi sistemica se ne fregano se siamo tutti d’accordo o meno…

Ieri il vertice dei capi di stati e primi ministri ha riproposto la divisione già manifestatasi nell’Eurogruppo, con nove paesi tremebondamente fermi nel chiedere strumenti “eccezionali” per far fronte a una situazione mia neanche immaginata. Dall’altra il solito “fronte del Nord”, guidato da Olanda e Germania, immobile nelle preistoriche convinzioni ordoliberiste, quelle per cui non si spende nulla se non ci sono prima i soldi.

Il che soprattutto significa: nessuna condivisione di spesa e rischio a livello continentale (tra i Paesi membri dell’Eurozona).

Il tema dei “covid-bond”, ossia titoli di Stato emessi e garantiti da tutta la comunità era solo la cartina tornasole di una volontà “solidale” oppure no. Ma nella discussione – condotta per via telematica, e già questo avrebbe dovuto far “toccare con mano” la straordinarietà della situazione – non c’è stato spazio neanche per una versione ridotta di questa condivisione. Ossia l’emissione di questo tipo di titoli una tantum, giusto il tempo (e il costo) di superare la pandemia.

Dopo ore discussione, persino l’avvocato più mediatore del mondo – “Giuseppi” Conte – ha dovuto battere la scarpa sul tavolo (a là Kruscev) e bocciare la bozza di sintesi proposta del presidente, il belga Charles Michel, che non raccoglieva nessuna delle richieste italiane (e spagnole, francesi, irlandesi, slovene, greche, belghe, e persino lussemburghesi, con più cautela).

Angela Merkel – nemmeno in video, ma solo via audio dietro una sua foto di qualche anno fa – ha recitato la parte di Fabio Massimo, senza dire praticamente nulla. Mentre lasciava a Olanda e Finlandia la parte dei “falchi” dell’ortodossia ordoliberista.

Mai si era sentito un premier italiano costretto a dire, suo malgrado (Conte, con Gualtieri e prima con Moavero Milanesi, era una delle garanzie “europeiste” del governo) «I meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato ve li potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno».

L’allusione va decriptata: “non accetteremo l’impiego del Meccanismo Europeo di Stabilità con le condizioni attualmente previste e che porterebbero l’Italia a sottostare alle forche caudine imposte a suo tempo alla Grecia”.

Anche perché – ma possibile che nessuno dei partner europei più “tosti” non se ne sia ancora accorto? – da questa pandemia nessuno uscirà indenne; e comunque l’economia continentale sta già ora subendo uno choc di dimensioni belliche, se non ancora “bibliche” come quelle previste ormai anche da Mario Draghi.

Alla fine la “mediazione” ulteriore è stata trovata azzerando di fatto le sei ore di discussione tra i “cancellieri”, rinviando la patata bollente ai ministri dell’economia, ossia all’Eurogruppo, incaricato di trovare entro 10 giorni una proposta concreta accettabile da tutti.

La domanda immediata è scontata: ma come potranno i “numeri 2” trovare una quadra che sia al tempo stesso “condivisa” ed “efficace” nel contrastare, più che la pandemia, il pandemonio economico che si sta già sollevando nel Vecchio Continente? Cosa può accadere di tanto grave da modificare concrezioni cerebrali (interessi materiali) che appaiono indifferenti a quanto accade?

L’unica ipotesi credibile è che i prossimi giorni possano far salire salire oltre i livelli di guardia l’allarme per la tenuta sociale e sanitaria anche in quesi Paesi che fin qui hanno trattenuto il fiato sperando che il peggio non toccasse anche a loro. E soprattutto che si rompa il “mistero tedesco” sui costi umani reali del coronavirus, che solo in Germania appare inspiegabile nei suoi effetti.

Al momento, dunque, l’Eurozona è priva di un “governo politico”, mentre la Bce comincia ad inondare di liquidità il sistema finanziario, comprando ogni tipo di titoli (di Stato, principalmente). Oltretutto rompendo la “regola del 33%”, ovvero il divieto di comprare più di quella quota già in sede d’asta.

Non è un dettaglio, perché in questo modo viene di fatto superata la storica “separazione tra banca centrale e Tesoro”, imposta per esempio in Italia addirittura nel 1981, da Nino Andreatta (uno della “banda Prodi”, per capirsi). Con un effetto pratico immediato: i titoli di Stato (dei singoli Stati) diventano meno esposti alla speculazione dei “mercati”, perché c’è per il momento un “compratore di ultima istanza” dalle disponibilità “illimitate”.

Ma anche questo comportamento finalmente “virtuoso” della Bce incrocia due problemi sistemici di enorme rilievo. Uno, politico, rappresentato dalla contrarietà della Bundesbank e degli altri membri “austeri” nella Bce. Un secondo istituzionale, perché se esiste una banca centrale per tutta l’Eurozona, non esiste invece un “ministero del Tesoro” dell’Unione.

Dunque la politica monetaria va per proprio conto, in maniera forzatamente unitaria (c’è una moneta unica), mentre le politiche fiscali e di debito pubblico sono “nazionali”. Quindi con diciannove modalità differenti e spesso concorrenziali le une verso le altre (per esempio in materia di fisco per le imprese…).

Due settimane sono poche, in genere. Ma viviamo in tempi eccezionali. E questa volta potrebbero essre davvero decisive per sapere – e capire – se la gabbia dei trattati ordoliberisti si “smaglia”, per la prima volta sotto l’immane pressione del virus.

Oppure se il governo Conte e i suoi pavidi alleati in cattive acque, chinano la testa a là Tsipras e svendono i loro paesi ai mercanti nel tempio.