Identità, principi e programma di Eurostop per l’assemblea costitutiva del 1 luglio a Roma

1) La piattaforma sociale Eurostop è un movimento sociale e politico cui aderiscono persone e partecipano organizzazioni sindacali e politiche, movimenti civili, sociali, ambientali, che agiscono sulla base della democrazia e del consenso, in coerenza con gli obiettivi, i principi e i valori di questa Carta e delle regole condivise.

Eurostop si batte per l’abbandono dell’Euro e la rottura della UE e della NATO, passaggio indispensabile per rovesciare le politiche di austerità e la globalizzazione liberista che hanno distrutto diritti e conquiste sociali di decenni in Europa e ora minacciano la democrazia e le costituzioni antifasciste. La rottura è altresì necessaria per fermare la politica di guerra permanente scatenata dagli USA e dai loro principali alleati.

La rottura con queste istituzioni è necessaria perché esse hanno dimostrato concretamente e nel tempo di essere irriformabili in senso positivo per i diritti sociali del lavoro, dei popoli e per la stessa democrazia. Chi riconosce che la UE di oggi è inaccettabile, ma propone la riforma dei trattati, dimentica che l’articolo 48 di Maastricht prevede l’unanimità per cambiarli. Quindi la rottura è la sola via praticabile.

Al tempo stesso tale rottura è necessaria per riprendere la marcia verso quella democrazia sociale prefigurata dalla Costituzione del 1948, oggi negata, e per riaprire la via al socialismo, unica vera alternativa al dilagare della ingiustizia sociale e della barbarie. Con queste premesse e con questo obiettivo Eurostop non può che essere anticapitalista, antifascista, antirazzista, antipatriarcato.

2) Le lotte ed i movimenti sociali non hanno mai assunto coerentemente sinora questi tre NO, a EURO UE NATO, a volte dandoli per scontati come premessa o come conseguenza dei conflitti, ma senza mai dichiararli apertamente. Questa rimozione, in alcuni casi diventata un vero e proprio tabù, ha reso più deboli tutte le domande sociali di fronte ai ricatti e alle minacce del potere. Il quale, invece, ha sempre manovrato a tutto campo, usando tutta la catena di comando per affermare i propri interessi e la propria egemonia. Il fatto che ogni lotta importante ad un certo punto si misuri con la rigidità di un sistema che non ammette mediazioni e che ogni volta si trincera dietro l’impossibilità delle alternative, finora ha permesso al sistema stesso di vincere i conflitti o di isolare le resistenze più tenaci e forti.

Il riformismo storico del movimento operaio, il gradualismo nei miglioramenti è stato stravolto nel suo opposto dalle sinistre di governo diventate liberiste. Oggi riformismo è solo adattamento al peggioramento. Oggi in Europa il riformismo è diventato l’ideologia del liberismo e la cultura politica delle élite e dei mass media da esse guidati.

Il cambiamento progressista, incluse vere riforme per l’eguaglianza sociale, non può essere perseguito con un comportamento politico riformista, ma solo con la rottura con il, e del, sistema di potere. Costruire questa rottura e la conseguente alternativa è il solo compito che giustifichi e dia senso ad una forza anticapitalistica. Ogni altra scelta significa condannarsi o ad un ruolo da Testimoni di Geova di palingenesi future o all’annullamento nel riformismo complice delle destre.

3) Il referendum costituzionale, per la prima volta da molto tempo, ha portato alla sconfitta l’establishment sul terreno sul quale in Italia finora aveva sempre vinto: quello delle riforme liberiste. La vittoria del No alla controriforma della Costituzione mostra che anche in Italia hanno acquisito forza il rigetto della globalizzazione, dei suoi effetti sociali e il rifiuto delle élite che dalla globalizzazione traggono profitto e potere. Il No è stato una domanda di giustizia sociale che per ora non ha avuto risposta, al contrario le risposte finora date sono tutte fondate sulla riconferma delle politiche della globalizzazione liberista. Tuttavia la sconfitta di tutte le istituzioni europee ed occidentali pesantemente schierate per Si al referendum, dimostra come si stia creando oggi lo spazio per la rottura. Il blocco di interessi economici, sociali e politici che promuove e sostiene la globalizzazione ed i suoi strumenti europei è oggi in forte crisi di egemonia e può essere posto in minoranza.

4) Le persone, le organizzazioni e i movimenti che aderiscono e partecipano a Eurostop sono in primo luogo impegnate in tutte le lotte sociali, sindacali, ambientali, civili che contrastano concretamente gli effetti della globalizzazione liberista e dello sfruttamento capitalista sulle persone e sulla natura.

Chi aderisce e partecipa ad Eurostop si batte contro ogni attacco ai diritti individuali, a quelli collettivi e del lavoro, contro le discriminazioni e le persecuzioni verso i migranti, contro ogni limitazione della democrazia e del diritto alla rappresentanza nelle istituzioni, nel paese, nei luoghi di lavoro. Tuttavia queste lotte non bastano di fronte alla gravità e alla durata della crisi economica, che hanno indebolito tutte le risposte dirette di chi della crisi subisce i colpi. La crisi costringe le persone ad accettare condizioni di sfruttamento e di oppressione sociale, di perdita di libertà, senza precedenti in Europa dalla sconfitta del fascismo. Questa passività imposta non significa affatto consenso al sistema che la impone. Anzi proprio la rabbia per la condizione materiale che si subisce alimenta il rifiuto politico del sistema. Rifiuto però distorto e contraddittorio da parte di classi subalterne che subiscono e si adattano nella vita quotidiana, ma che appena possono investono nella speranza di un rovesciamento politico che cambi le cose. Questo è il terreno sul quale fanno presa forze reazionarie che, nel vuoto delle alternative, indirizzano la rabbia sociale verso i più poveri, i migranti, i diversi, verso autoritarismi “legge e ordine”. La crescita di queste forze reazionarie è alimentata dalla stessa élite al potere, che da un lato le usa come spauracchio per conservare tutto l’esistente, dall’altro le tiene di riserva nel caso la tradizionale politica neoliberale si rivelasse inefficace, soprattutto ora che la globalizzazione liberista e i suoi strumenti di potere entrano tutti in crisi e che le magnifiche sorti e progressive dello sviluppo capitalistico vengono smentite dai fatti.

Per tutte queste ragioni la lotta sociale, politica e culturale di Eurostop si sviluppa su due fronti, da un lato contro il primo e principale avversario, il sistema di potere ordoliberista, le sue istituzioni, i suoi governi e le forze che lo sostengono, dall’altro contro tutte le forze reazionarie e neofasciste.

5) Eurostop giudica negativamente tutte le risposte alla crisi sociale che sono state date dalle sinistre ufficiali e dal mondo sindacale confederale. Le forze di centrosinistra di derivazione socialdemocratica si sono sottomesse alla globalizzazione, pensando di condizionarla, ed ora ne sono assorbite e non a caso vengono identificate come parte dell’establishment. Esse sono diventate semplicemente forze neoliberali, espressione dell’ideologia del capitalismo compassionevole.

I grandi sindacati confederali europei, pur critici a parole della globalizzazione, ne sono complici con la totale adesione alla “governance” della UE e con la pratica concreta della propria azione, con la politica della collaborazione con le imprese e della riduzione del danno. Pratiche che alimentano la passività sociale e la crisi della democrazia.

Le forze della sinistra più radicale hanno avuto una occasione storica in Grecia, ma alla fine hanno accettato il più vergognoso dei memorandum della Troika.

Per queste ragioni Eurostop, pur avendo come propri tutti i principi, i valori, gli obiettivi di fondo della sinistra sociale e di classe, non si identifica automaticamente con la sinistra oggi istituzionalmente definita in Europa.

Eurostop si unisce e agisce con le forze ed i movimenti che concretamente operano per la rottura del sistema di potere EURO, UE, NATO e dei suoi governi e che praticano il conflitto sociale e l’anticapitalismo, che lottano per la democrazia sociale anticipata dalla Costituzione Repubblicana. Con tutte queste forze e persone Eurostop è interessata al dialogo, al confronto, alle iniziative comuni su tutti i terreni sociali e politici per concreti obiettivi, mentre al tempo stesso si dichiara estranea a schieramenti precostituiti sulla base delle definizioni istituzionali.

6) Per Eurostop la rottura con EURO UE NATO non è solo costituente di una posizione politica, è un obiettivo reale non solo necessario, ma possibile. Occorre cioè pensare alla rottura come obiettivo di transizione, come passaggio verso un nuovo sistema economico e politico, che non è ancora socialista, ma che non è più quello ordoliberista. La rottura ha il compito di mettere in connessione le lotte con un obiettivo politico generale unificante. La rottura punta alla regressione della globalizzazione, per far avanzare di nuovo una democrazia fondata sulla eguaglianza sociale. Nel referendum costituzionale abbiamo misurato il contrasto strategico tra la Costituzione del 1948 e la governance europea e occidentale. Eurostop agisce su questo insanabile contrasto per trasformarlo in rottura politica: o la Costituzione antifascista, o l’EURO, la UE, la Nato.

La rottura punta ad affermare la sovranità democratica e popolare nelle istituzioni a partire da quelle del nostro paese.

7) Nella mistificazione politica ed ideologica imperante e sostenuta dai mass media, Eurostop ritiene fondamentale esprimere il massimo di chiarezza sui propri principi. In questo senso afferma con nettezza che il Capitalismo – e non solo il neoliberismo – è il nemico contro cui battersi e lavora per costruire la totale indipendenza politica dei lavoratori e delle classi subalterne da questo e dal suo distorto sviluppo. Diverse forze politiche in Italia tentano di lucrare elettoralmente sulla rabbia dei ceti popolari senza indicare la radice della presente crisi in quanto condividono le stesse prospettive del capitalismo. Oggi il Capitalismo si presenta nella forma parassitaria della speculazione di banche e fondi finanziari, nel ruolo socialmente devastante delle multinazionali, incluse quelle europee, nell’Unione Europea che ne è il suo braccio politico istituzionale che ha prodotto con le sue politiche economiche le diverse crisi del debito in vari paesi europei. In questi anni di regressione economica generale il capitalismo sta producendo una competizione globale che sta travalicando la sola dimensione economica e sta sfociando nei conflitti militari. In questo senso va la politica aggressiva degli Stati Uniti, il conflitto militare latente con la Russia e la Cina ed il riarmo in atto nella Unione Europea che toglie ricchezza alla spesa sociale per darla al complesso industriale-militare e al nascente Esercito Europeo. In tal senso Eurostop vuole chiamare fuori esplicitamente i popoli da questo conflitto, da ogni tipo di guerra e rifiutare il continuo e pressante appello a stringersi in difesa della UE rappresentata come faro della civiltà liberale; in realtà è stata proprio la costituzione della UE che ha incrementato la competizione, inclusa quella militare, come dimostrano i continui interventi bellici fatti in Medio Oriente e le guerre. Vuole, inoltre, battersi per una Italia che pratichi una neutralità attiva decisiva per la propria politica estera.

8) I processi generalizzati di privatizzazione dei beni pubblici, la subordinazione totale al capitale privato, nelle sue molteplici forme, e la UE come strumento di coercizione politica ci rimandano direttamente alla questione del ruolo dello Stato, della sua funzione sociale e politica e soprattutto di come vada contrastato l’uso privatistico dello Stato che da troppo tempo viene perpetrato. Qui si pone un nodo di fondo che è quello della contraddizione tra la crescita dei profitti e dell’accumulazione per il grande capitale ed i processi di impoverimento generale, disoccupazione, precarietà come condizione esistenziale per settori sempre più ampi della popolazione, di lavoro dipendente ed autonomo. Questi processi vengono ormai percepiti nella parte penalizzata della società come una contraddizione tra le aspettative, maturate in una società apparentemente opulenta, e la realtà che oggi si presenta in tutta la sua brutalità e senza alternative, soprattutto per i settori giovanili. Torna cosi centrale la questione del lavoro e dei lavoratori sia manuali che intellettuali, in cui la formazione svolge un ruolo centrale, e la battaglia per uno sviluppo generale al servizio della società e per la riduzione dell’orario di lavoro di fronte ad una disoccupazione prodotta ormai palesemente dall’uso intensivo della tecnologia. Qui c’è il nocciolo duro dell’attuale sviluppo distorto causato dal capitalism, ma a questo si aggiungono questioni fondamentali quali la distribuzione della ricchezza in un mondo dove aumentano le disuguaglianze e dove la democrazia viene sempre più limitata a causa dei processi di centralizzazione decisionale, come quelli che stanno avvenendo con la costruzione dell’UE. Questo sviluppo diseguale rende necessario riaffermare la funzione dello Stato, funzione intesa soprattutto nel senso dei suoi fini generali di progresso e non solo del Welfare quale prodotto della passata mediazione sociale. Dunque una ipotesi di cambiamento può essere proposta anche come prospettiva di un nuovo Socialismo che torna ad essere una opzione credibile da sostenere in una fase di crisi di sistema.

9) Eurostop vuole condurre una battaglia anche sulle questioni dell’etica e dei valori contro un degrado civile che sta generando una rivolta morale in settori sempre più larghi della popolazione. Oggi tale questione si pone in modo ancora più pressante di fronte alla crescita delle ingiustizie e la corruzione sta divenendo insostenibile anche perchè, nonostante inchieste e proteste, si sta verificando una immodificabilità della situazione. Ciò accade perché questi aspetti sono parte costituente del capitalismo moderno ed in particolare la corruzione, che non è un fenomeno solo italiano né casuale, è prodotta dall’asservimento dello Stato e delle sue risorse finanziarie al capitale privato ingenerando l’intreccio perverso tra politica ed economia che ora è sotto gli occhi di tutti. Il terreno della alterità sui principi non può essere ignorato da chi, come Eurostop, intende rappresentare le esigenze di cambiamento della società. Onestà, eguaglianza, politica intesa come servizio disinteressato, priorità del bene comune contro l’individualismo e della cultura del tutti contro tutti – con particolare accanimento verso i più poveri – sono i terreni delle battaglie culturali ed etiche che Eurostop deve ed intende fare.

10) Il nesso tra classi, popoli, Stati e internazionalismo. Anche su tali questioni Eurostop vuole esprimere un proprio chiaro orientamento. Questo deve fare i conti con un processo particolarmente contraddittorio per i paesi dell’Unione Europea in quanto se la base materiale, produttiva, finanziaria e nella sua componente della forza lavoro (emigrazione/immigrazione), ha superato la dimensione nazionale, il piano politico e istituzionale rimane ancora ancorato a quella dimensione. E’ ormai evidente come in tutto il mondo si vadano configurando blocchi geopolitici ed economici che tendono a superare la sola dimensione nazionale. Questi due livelli, ambedue reali, vanno messi in stretta relazione nell’azione politica di Eurostop, trovando un equilibrio tra essi. Abbiamo già detto che se la base del conflitto di classe – e dunque della sedimentazione concreta delle forze politiche e sociali per noi necessaria – è nazionale ed è una condizione ineludibile, dobbiamo saper proporre nella nostra identità un orizzonte più ampio, dunque internazionale ed internazionalista, per non farci chiudere in una visione politica dove le forze reazionarie hanno obiettivamente più possibilità di affermazione.

Eurostop non contrappone perciò l’internazionalismo, la solidarietà tra le classi lavoratrici e i popoli con la riconquista di potere e sovranità che il popolo può e deve fare nel suo territorio, comunale, locale, regionale, statuale. Eurostop, nel solco delle più importanti lotte di liberazione, persegue assieme lotta nel proprio paese e internazionalismo. Non si può attendere la rottura del sistema fino al momento in cui gli oppressi di tutta Europa, abbiano sincronizzato i loro orologi o si ribellino tutti assieme. Questo è una posizione e una visione paralizzante e velleitaria allo stesso tempo. Bisogna invece avere fiducia nel fatto che ovunque si produca la rottura, essa si estenderà per contaminazione. Se un popolo rompe con EURO UE NATO, altri popoli imporranno scelte analoghe. La rottura è riconquista di democrazia, potere popolare, eguaglianza sociale, ovunque si avvii poi si diffonderà. Eurostop opera per collegarsi a tutte le forze che in Europa si stanno organizzando verso la stessa scelta di rottura. Questo non è solo un piano teorico o di semplice rappresentazione, ma è soprattutto politico e pratico e deve tenere conto delle contraddizioni che emergono nella costruzione della UE. Quella più evidente e percettibile, che oggi ci può sottrarre dalla sola dimensione nazionalista nella proposta politica, è la contraddizione molto concreta tra Nord e Sud Europa, ovvero della costruzione di un centro e di una periferia nell’Unione Europea prodotti da un processo di gerarchizzazione per classi e Stati imposta dalla competizione globale.

11) Eurostop opera per ricomporre un fronte sociale e politico dove gli sfruttati dal potere capitalistico dell’impresa e del mercato, riconoscano i loro interessi comuni, si uniscano agli esclusi dal potere finanziario della globalizzazione liberista. Questo fronte sociale è oggi potenzialmente maggioritario, ma affinché esso si affermi come forza reale è necessario che assieme alle lotte ed ai conflitti venga sviluppato ed affermato un adeguato programma generale di rottura e cambiamento. Eurostop si assume il compito di definire questo programma, di costruirlo, affermarlo, identificarcisi, diffonderlo in una campagna capillare in tutto il paese e lottare per farlo divenire una discriminante politica fondamentale tra gli interessi in conflitto tra loro.

La rottura con EURO UE NATO finora ha vissuto solo nel confronto e nel dibattito politico di una parte dei militanti della sinistra di classe e antagonista, ora deve entrare nella dimensione delle lotte reali, deve essere nell’ordine del giorno di tutti i conflitti.

IL PROGRAMMA FONDAMENTALE

Il programma fondamentale di Eurostop non è un puro programma di governo, anche se è come questo si può anche configurare. Esso è prima di tutto un atto di rottura contro i poteri e le forze dell’oppressione ed uno strumento che ha l’obiettivo di organizzare la forza delle classi subalterne per lottare contro di essi.

La scelta di partire con – e non di giungere alla – “rottura con l’EURO, la UE, la NATO”, è determinata proprio dalla necessità di uscire dal mondo dei sogni e delle buone intenzioni, che si è sempre dissolto di fronte alle dure repliche dei poteri economici e degli impegni militari. Non basta dire ciò che si vuole, bisogna individuare chi per primo impedisce di ottenere ciò che si vuole.

È necessario che gli esclusi, gli oppressi e gli sfruttati che subiscono i colpi delle politiche di austerità e di guerra, abbiano nel profondo delle loro coscienze la consapevolezza che non ci sarà nessun cambiamento nella loro condizione se non verranno messi in discussione i vincoli ed i poteri che disciplinano quelle politiche. Se si ha paura della rottura dei vincoli dell’EURO, della UE, della NATO, i poteri e gli interessi tutelati da questi strumenti potranno sempre usare il terrore del salto nel buio per imporre la resa. La micidiale gabbia del “there is not alternative”, va spezzata e superata nella propria testa ancora prima che nella società.

Il programma di Eurostop parte dai principi e dagli indirizzi economico-sociali della Costituzione del 1948, solo in parte applicati grazie al poderoso movimento di lotta degli anni 70 del secolo scorso e poi completamente negati dalle riforme liberiste iniziate negli anni 80 e continuate fino ad oggi. C’è una assoluta incompatibilità tra i principi sociali e di pace della Costituzione repubblicana con i Trattati Europei e l’impegno militare nella NATO. Tale contrasto è sempre più forte man mano che le politiche liberiste e quelle di guerra sono messe in opera dai governi, ed è per questo che hanno tentato di devastare le stesse regole formali della Costituzione, scontrandosi però un fortissimo NO da parte della grande maggioranza del popolo italiano.

Attuare la Costituzione significa in primo luogo porsi come obiettivo prioritario l’abbattimento della disoccupazione di massa con un adeguato piano di intervento pubblico nella economia, finanziato da una spesa pubblica e da un sistema bancario in mano allo Stato. Per questo è prioritaria la nazionalizzazione della Banca d’Italia e la fine della sua separazione dal Tesoro, così come sono indispensabili il pieno controllo statale sulla moneta, un altrettanto rigido controllo su tutti i movimenti di capitale e misure straordinarie per sradicare la grande evasione fiscale.

Le nazionalizzazioni di banche ed imprese strategiche saranno le leve fondamentali per l’intervento pubblico nell’economia, il quale dovrà avere come obiettivo non solo la piena occupazione, ma l’affermazione di un modello di sviluppo alternativo da quello del capitalismo liberista, uno sviluppo fondato non sulla liquidazione ma sulla crescita dei diritti del lavoro, sociali, civili, sulla salvaguardia dell’ambiente, sulla valorizzazione del patrimonio culturale del paese.

Per questo è decisivo un nuovo impulso alla crescita di tutto lo stato sociale e di tutto il sistema scolastico, formativo, di ricerca pubblici. Nello stesso tempo dovranno essere cancellati gran parte dei programmi di spesa militare, che dovrà essere drasticamente abbattuta, anche con il ritiro unilaterale da tutti gli interventi militari all’estero e dai trattati militari esistenti. Solo un programma di sviluppo sociale egualitario e l’abbandono della guerra potranno dare una risposta giusta e solidale alle migrazioni e ai migranti.

Per realizzare questi obiettivi non sono solo indispensabili misure immediate di governo, ma è necessaria una vasta opera di abrogazione delle norme liberiste sul lavoro e sulla economia, così come delle misure di polizia e di promozione degli interventi militari, varate negli ultimi trenta anni. E’ necessario che la legislazione assicuri e promuova la massima partecipazione democratica dei lavoratori e dei cittadini, nei luoghi di lavoro e nei sindacati, nella scuola, nei comuni, nei territori, nel parlamento.

La realizzazione di un programma con questi contenuti non sarebbe ancora il socialismo, ma reintrodurrebbe la via socialista nelle scelte e nelle possibilità concrete della nostra società, travolgendo il totalitarismo economico liberista.

Come si realizza allora questa rottura?

È chiaro che occorrono scelte di governo e mobilitazioni di massa adeguate e che tutto questo oggi non è ancora in campo ed è ancora difficile intravederlo. Enorme è il contrasto tra le necessità di cambiamenti radicali che pure nel senso comune si diffondono e la realtà delle forze in campo. Dopo la Brexit il sistema di potere europeo ha reagito ed è riuscito ad affermare una sua parziale stabilizzazione. Il programma di cambiamento e la rottura necessaria a realizzarlo non sono frutti maturi da staccare dall’albero. È necessario un processo di accumulazione di forze e di diffusione di consapevolezza sulla portata delle scelte da compiere.

La costruzione di coscienza e forza sul programma dovrà quindi assumere l’ “ITALEXIT” come possibile sbocco immediato della rottura, e predisporre così gli strumenti e le azioni affinché essa si realizzi. Questo è l’esatto opposto di una scelta nazionalista: la rottura da parte dell’Italia per realizzare un avanzato programma di pace e eguaglianza sociale, richiederà il massimo di solidarietà internazionale ed il massimo di iniziativa perché quella rottura sia fatta propria da altri paesi. Così del resto è sempre stata la migliore storia d’Europa: un popolo rovescia il potere ingiusto ed oppressivo nel suo paese e in breve tanti altri provano o riescono a fare lo stesso in tutto il continente.

I PUNTI DI PROGRAMMA.

1) Uscire dall’Euro, lavorare per una nuova moneta comune all’Europa mediterranea.

Ferma restando la necessità della rottura unilaterale con l’ Euro, è altresì importante operare per nuova politica di accordi monetari affinché il cambiamento del sistema monetario e finanziario sia una risposta congiunta. Il peso dei paesi della periferia europea mediterranea infatti è molto superiore a quello dei singoli paesi presi separatamente, e la sua capacità di resistenza e negoziazione è molto maggiore se realizzata congiuntamente, in particolare se ci si è rafforzati strutturalmente con la nazionalizzazione delle banche e dei settori strategici (energia, comunicazioni, trasporti, industrie vitali per il sistema industriale).

2) Disdetta di tutti i trattati UE

Eurostop si batte per la disdetta dell’adesione dell’Italia ai Trattati Europei, a partire dal Trattato di Maastricht fino al Fiscal Compact, e per l’abbandono di tutti i loro vincoli che impongono l’austerità. Conseguente uscita dalla Unione Europea e denuncia del debito pubblico.

La rideterminazione del debito nella nuova moneta andrà relazionata al cambio ufficiale che si stabilisce. Rifiuto e azzeramento almeno di una parte consistente del debito, a partire da quello con le banche e le istituzioni finanziarie, e imposizione di una rinegoziazione dello stesso debito residuo.

3) Ridare centralità al ruolo del pubblico e dello Stato.

Di fronte alla devastazione prodotta dalle privatizzazioni e dalla riduzione della funzione pubblica, al primo posto del programma della Piattaforma Sociale Eurostop non può che esserci la riproposizione della preminenza del ruolo democratico dello Stato nella trasformazione che intendiamo realizzare e che proponiamo ai lavoratori e ai settori sempre più socialmente penalizzati. La questione dello Stato è dirimente, perchè va indicato chiaramente quale sia lo strumento da contrapporre ai poteri economici e finanziari dominanti e liberisti per dare concretezza alle proposte sul programma sulle questioni economiche e sociali e di sviluppo civile che determinano la vita quotidiana dei settori della popolazione in crisi sociale. Questo aspetto sta dentro la prospettiva e l’obiettivo di costruire un blocco sociale in grado di esprimere opposizione ed una propria rappresentanza politica indipendente. E’ da qui che si deve ripartire per convertire i fini dell’apparato economico, produttivo e finanziario, invertendo l’ordine delle priorità da quelli privati a quelli sociali e pubblici.

4) Nazionalizzare i settori strategici e le imprese in crisi strutturale

La nazionalizzazione a gestione democratica dei settori strategici delle comunicazioni, dell’energia e dei trasporti non solo può essere un mezzo giusto, ma allo stesso tempo potrà portare le risorse per realizzare una strategia di rilancio produttivo a breve termine che permetta di creare le condizioni affinché milioni di disoccupati nei Paesi della periferia europea mediterranea comincino a produrre ricchezza sociale nel minor tempo possibile. Questi settori strategici sono le attività produttive che stanno ottenendo maggiori benefici, come risultato della gestione delle risorse naturali non rinnovabili sulla base di una intensa socializzazione dei costi che non vengono imputati come costi interni (i costi di inquinamento, la distruzione di risorse naturali ecc.), o comunque tali settori stanno ottenendo forti risultati positivi perché stanno beneficiando della privatizzazione di reti di comunicazione e tecnologie, la maggior parte delle quali si sviluppano con risorse pubbliche. La nazionalizzazione va estesa a quelle industrie strategiche per il sistema economico. I casi dell’Ilva, dell’Alcoa, dell’Irisbus sono lì a dimostrare che la cannibalizzazione del sistema industriale da parte delle multinazionali ha portato a crisi aziendali e chiusure delle imprese che invece hanno possibilità reali.

5) Contro la finanziarizzazione, nazionalizzare le banche.

La nazionalizzazione delle banche e la stretta regolazione (incluso la proibizione momentanea) della fuoriuscita dei capitali dall’area stessa. La nazionalizzazione delle banche in una situazione di insolvenza e di dipendenza dall’aiuto pubblico è anche un requisito per evitare la fuga dei capitali e per eliminare la drammatica e storica tradizione capitalistica di privatizzare i profitti e socializzare le perdite.

La nazionalizzazione delle banche è la parte più importante del processo generale per uscire dalla finanziarizzazione dell’economia globale. Finché non si sarà realizzato questo obiettivo, continuerà il deterioramento della qualità della vita e del lavoro al solo fine di aumentare il tasso di profitto. Rompere la logica del capitale finanziario significa nazionalizzare le decisioni d’investimento per favorire le attività socialmente utili, sottoposte a un criterio di rendimento sociale ed ecologico, che sono criteri di medio e lungo termine. Il controllo sociale degli investimenti è imprescindibile per dinamizzare l’attività produttiva e per orientare il credito in funzione di ottenere il massimo sviluppo dell’occupazione, dell’utilità sociale e della salvaguardia dell’ambiente; tali funzioni sono fortemente differenti da quelle che applica la banca privata che è orientata al criterio del massimo profitto a breve termine.

6) Attaccare l’evasione fiscale, tassare tutti i capitali

Tassazione dei capitali e una forte e coerente patrimoniale attraverso un’equità fiscale che colpisca l’evasione, la speculazione dei capitali ad investimento finanziario e forme di tassazione complessiva generale dei capitali da destinare alla lotta alle povertà e per le esigenze socio-ambientali ed occupazionali; attraverso un’equità distributiva che rafforzi lo Stato sociale determinando un Welfare dei nuovi diritti di cittadinanza fondato sulla socializzazione dell’accumulazione del capitale.

Realizzare quindi una incisiva politica delle entrate che finalmente punti ad una vera riduzione dell’evasione fiscale e ad una seria tassazione di tutti i capitali. Tassare finalmente nei modi diversi il capitale caricando gli stessi oneri gravanti sulla forza lavoro che va a sostituire; effettuare degli appropriati controlli attraverso un’anagrafe patrimoniale ed una efficiente anagrafe tributaria. Tutto ciò significa far riappropriare i ceti meno abbienti della popolazione, composta da lavoratori occupati e non occupati e dai lavoratori autonomi individuali, di quella ricchezza sociale da loro stessi prodotta e realizzata e che si è sostanziata nel tempo in quegli incrementi di produttività che sono però andati fino ad oggi ad esclusivo vantaggio del capitale.

7) Fine del regime della precarietà del lavoro.

Abolizione Jobs act, Pacchetto Treu e ritorno al sistema di lavoro con contratto a tempo indeterminato. Ripristino ed estensione della tutela dell’articolo 18. Ripristino del collocamento pubblico come sola forma di collocamento. Estensione del principio di responsabilità a tutta la catena del valore. Nelle pubbliche amministrazioni divieto di gare d’appalto al massimo ribasso e reinternalizzazione di tutte le attività e i servizi fondamentali.

8) Il sapere come bene comune e pubblico

Un gigantesco piano di rilancio della scuola, dell’università, della formazione e della ricerca pubbliche. Fine del finanziamento pubblico alle scuole private e della aziendalizzazione e delle sponsorizzazioni private per scuola ed università pubbliche. Abolizione della “buona scuola” di Renzi e della riforma Berlinguer della università. Abolizione del numero chiuso e programma generalizzato di diritto allo studio. Fine dalla precarietà per docenti, ricercatori, tecnici del sistema pubblico.

9) Cambiamento della cultura tecnologica, produzioni finalizzate alla utilità sociale.

Dall’epoca “luddista” – quando gli operai distruggevano le macchine che andavano a sostituire il loro posto nelle fabbriche tessili – i sindacati dei lavoratori hanno rinunciato a controllare, a regolare e a partecipare nel senso e nell’orientamento del cambiamento tecnologico. È stata una decisione che si è lasciata sempre nelle mani degli imprenditori e del capitale.

Invertire questa tendenza secolare implica intendere in altra maniera lo sviluppo democratico, comprendere che il dibattito sulla tecnologia esige che tra i lavoratori vi sia una cultura tecnologica, che oggi non c’è, delle strutture che servano a canalizzare e organizzare il dibattito sul cambio tecnico e non: per esempio, il processo attuale di privatizzazione delle risorse e di orientamento scientifico nelle università, che è il passo che precede lo sviluppo tecnologico. E in tutto ciò necessita un progetto pianificato centrale fiscale che sappia redistribuire indirizzando le risorse a investimenti in tecnologie a forte compatibilità ambientale e sociale per una dimensione socio-ecologica dello sviluppo a sostenibilità qualitativa.

10) Riduzione dell’orario di lavoro

L’obiettivo è giungere alle 30 ore settimanali a parità di salario, alla pensione a 60 anni per uomini e donne.

Il cambiamento tecnologico può rappresentare un progresso tecnico e sociale se è frutto di una decisione collettiva dei lavoratori, maggioritaria, responsabile, aperta al dialogo, negoziata e contrattata. L’aumentata produttività generata dall’uso della moderna tecnologia deve portare alla liberazione dal tempo di lavoro verso una diversa qualità della vita.

11) Difendere il Welfare.

Garantire degne pensioni ai nuovi lavoratori atipici, rafforzando il sistema pensionistico pubblico, incanalando nel suo finanziamento oltre ai redditi da lavoro anche fonti di reddito da capitale; ripristinare un Servizio Sanitario Nazionale efficiente ed universale; mantenere e difendere la scuola pubblica per impedire le disuguaglianze e garantire il diritto allo studio per tutti; incrementare i fondi di finanziamento per l’università e la ricerca statale; avviare progetti di edilizia pubblica con affitti in proporzione al reddito; investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro veri a pieni diritti, sono le misure da adottare per ridare forza al nostro welfare contro i processi di privatizzazione e liberalizzazione che stanno devastando la realtà sociale e dei servizi pubblici nel nostro paese.

12) Immigrazione e migranti

La questione migratoria va affrontata nel quadro del rilancio del pubblico, dello stato sociale, della piena occupazione e della abolizione di tutta la legislazione liberista sul lavoro.

Nello specifico: abolizione della legislazione securitaria e razzista che trasforma in illegali le persone, via la legge Bossi-Fini e le leggi Minniti-Orlando. Si allo ius soli. Disdetta del Trattato di Dublino e del sistema europeo di detenzione. Sistema di accoglienza pubblico e non più dato in appalto a privati. Controllo sul mercato del lavoro contro il lavoro nero con ripristino del collocamento pubblico e l’abolizione delle agenzie interinali e del collocamento privato. Sistema ispettivo diffuso con il principio della legislazione premiale a chi denuncia il caporalato.

13) Il Reddito Sociale Minimo (RSM)

Va istituito un Reddito Sociale Minimo per disoccupati e precari anche nel nostro paese per garantire una condizione di vita dignitosa per tutti. In questa prospettiva vanno stanziati i fondi per coprire le spese aggiuntive per nuove assunzioni a tempo indeterminato e a pieno salario e diritti nella Pubblica Amministrazione, cioè nel precariato istituzionalizzato.

Il Reddito Sociale Minimo si contrappone allo Stato della privatizzazione, all’abbattimento dello Stato sociale, alla creazione del Welfare dei Miserabili, rimettendo al centro il conflitto capitale-lavoro, per una società dei diritti del lavoro, del diritto al lavoro, per un Stato sociale dei nuovi diritti di cittadinanza. A tal fine vanno riproposte le funzioni non solo di uno Stato regolatore, ma allo stesso tempo di Stato gestore ed occupatore che redistribuisca reddito e ricchezza attraverso il Reddito Sociale Minimo, la formazione continua gratuita e remunerata.

14) L’ambiente non è una merce.

Da tempo la questione ambientale è uscita da un ambito culturale ed ideologico ed è prepotentemente entrata nella vita quotidiana dei popoli, incluso il nostro. La devastazione ambientale ha una dimensione mondiale. Lo si sta vedendo con le scelte della presidenza Trump che straccia gli accordi di Parigi del 2015 sull’inquinamento in cui i “grandi della terra” pensavano di mistificare un processo causato dall’economia capitalistica che sfrutta l’uomo e la terra. Le magnifiche sorti della “green economy” si sono scontrate con gli interessi dei petrolieri USA e la competizione mondiale aggraverà questo conflitto.

Il superamento del degrado generale del pianeta non può che avvenire con lo sviluppo di scienza e tecnologia separate e antagoniste alla logica del profitto capitalista e con un intervento pianificatore degli Stati che devono avere a proprio riferimento gli interessi generali dell’umanità.

Anche la devastazione dei nostri territori ha la stessa origine di quella generale. Dalla TAV in Val di Susa alle terre dei fuochi della Campania, dall’inquinamento di Taranto prodotto dall’ILVA al degrado delle periferie metropolitane, tutte hanno in comune lo sfruttamento brutale delle risorse da parte del capitale privato ai fini del proprio profitto particolare. Anche qui uno sviluppo diverso può essere garantito solo da uno Stato che pianifica in funzione degli interessi di tutto il popolo.

15) Democrazia contro i diktat della governabilità

La democrazia rappresentativa è tale solo se espressione di un sistema elettorale proporzionale. Il principio “una testa, un voto”, in modo da garantire l’uguaglianza del voto in entrata ed in uscita, è irrinunciabile sia sul piano politico che nelle elezioni delle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Per questo vogliamo un sistema elettorale proporzionale e una legge sulla rappresentanza democratica nei luoghi di lavoro.

Al contrario di quanto demagogicamente diffuso in questi anni, la rappresentanza democratica deve essere la più ampia possibile. Siamo contrari alla riduzione del numero di parlamentari. Sosteniamo invece la riduzione del 50% della loro retribuzione, l’introduzione dell’istituto della revoca del mandato e dell’obbligo di resoconto semestrale del proprio operato ai propri elettori.

Sosteniamo l’introduzione del referendum propositivo e della possibilità di pronunciarsi, tramite referendum, anche sui trattati internazionali.

Va salvaguardato in ogni modo il carattere laico dello Stato e di tutte le sue articolazioni. Le esigenze di sicurezza o di ordine pubblico non possono in alcun caso diventare prevalenti sulle libertà politiche, democratiche, informative previste dalla Costituzione.

16) No alla NATO, alle guerra e alle spese militari.

La tendenza alla guerra e al riarmo ha già prodotto e produrrà conseguenze pesanti nei paesi imbrigliati dentro trattati militari come la NATO o la nascente Difesa Europea.

Attualmente la NATO concentra le proprie forze ai confini della Russia e di altri paesi dell’Est creando inutili tensioni anche nel Caucaso.

L’Italia e’ fortemente condizionata sia dalla politica atlantica che dal fatto che ospita sul proprio territorio, strategicamente importante nello scacchiere mediterraneo, un centinaio di basi militari USA, tra cui anche alcune segrete. Complessivamente l’Italia ospita, senza averne il controllo, almeno 70 testate nucleari.

Ciò fa dell’Italia un obiettivo nel caso di una guerra fra superprotenze con gravi rischi per la sua popolazione.

La UE, gemella della NATO, rappresenta in questi tempi un tentativo di neoimperialismo a volte concorrente con quello americano. La UE ha sostenuto il colpo di stato neofascista in Ucraina e le attuali repressioni nei confronti delle forze democratiche e di sinistra, dei lavoratori e delle popolazioni di lingua russa, specie nel Donbass. La situazione ucraina rischia di provocare una guerra di notevole ampiezze nel continente europeo. Inoltre Libia, Somalia, Africa francofona e centrale sono obiettivi dell’imperialismo europeo. La UE è diventata negli ultimi anni la seconda potenza mondiale bellica (217,5 miliardi di spese militari nel 2015).

Nessun governo fa ormai mistero di puntare ad un aumento delle spese militari. Crescono vertiginosamente infatti le fusioni e le acquisizioni nelle aziende del settore, anche con la prospettiva concreta di realizzare quel complesso militare-industriale europeo al quale si punta da anni. In piena coerenza con questa prospettiva ad aprile di quest’anno la Commissione Europea, in applicazione dell’art. 42 del Trattato di Lisbona, ha destinato 25 milioni di euro del budget comunitario alla ricerca militare (90 milioni di euro in tre anni). Sempre in quest’ottica va considerata la decisione dello scorso dicembre di escludere la spesa militare dal conteggio dei deficit nazionali. Il finanziamento all’industria militare con fondi pubblici è quindi tra le priorità della UE .

In questo quadro va considerato il finanziamemto dell’industria bellica italiana a discapito del settore civile. La crescita dell’industria bellica è unj vero e proprio asset strategico tanto sul piano economico quanto su quello geopolitico. I principali gruppi industriali beneficiari, pilastro portante dell’industria bellica italiana, sono il gruppo Leonardo-Finmeccanica e Beretta Holding Spa, leader nel commercio delle armi leggere. Queste controllano oggi l’80% della capacità industriale del settore Difesa.

I dati dell’Osservatorio Mil€x attestano la spesa militare italiana per il 2017 a oltre 23 miliardi e 321 milioni di euro. L’ aumento nel rapporto spese militari/Pil passa dall’1,25% del 2006 all’1,37% del 2017. Cosi’ l’industria bellica italiana potrà contare su un finanziamento di 64 milioni di euro al giorno. L’89% degli investimenti del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) sarà destinato al comparto difesa, sottraendo fondi destinati a sostenere la competitività e lo sviluppo delle imprese italiane. A questi si aggiungono alcuni capitoli tra gli stanziamenti del MIUR per la ricerca a fini militari. Nel recente incontro con Gentiloni, il presidente statunitense Trump ha ribadito la richiesta che “tutti gli alleati paghino la loro parte della difesa comune”, portando al 2% del Pil gli investimenti nel settore militare. Dunque la dote delle spese militari dei paesi aderenti alla Nato, almeno per l’Italia deve raddoppiare.

Eurostop si batte per l’uscita dell’Italia dalla Nato e per provvedimenti conseguenti a questo: per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero; affinchè l’attuale governo italiano rifiuti di aumentare le spese militari come chiesto dagli Usa e rinunci all’aquisto degli F-35 e di ulteriori mezzi navali portaerei con dotazioni missilistiche e di altro genere; per la cessazione dei finaziamenti del Mise e del Miur all’industria bellica; per lo smantellamento delle basi militari straniere in Italia, l’allontanamento e la bonifica del territorio da testate nucleari; per la riconversione dell’industria bellica a fini civili e la trasformazione di beni e strutture militari abbandonati, destinandoli alla popolazione per usi sociali e culturali; per la tracciabilità di eventuali esportazioni di armi, dopo l’approvazione delle Camere

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