di Unione Sindacale di Base
La modifica degli articolo 81 della Costituzione, attraverso l’introduzione del vincolo del pareggio in bilancio, unitamente alle modifiche dell’art 97 della Costituzione, costituiscono il più grave attacco ai valori e ai principi contenuti nella nostra Carta Costituzionale.
L’USB con Eurostop, altre associazioni e comitati che già hanno contribuito il 4 dicembre 2016 a respingere il tentativo di riforma della Costituzione, hanno depositato in Cassazione una proposta di Legge di Iniziativa popolare per cancellare l’attuale testo degli articoli 81 e 97 e quindi ripristinare quelli originari che non prevedevano il pareggio di bilancio sia a livello statale che di singole amministrazioni.
La raccolta di firme che l’USB si impegna ad avviare nel paese e nei posti di lavoro è un tema decisivo anche per il settore pubblico.
In questa scheda cerchiamo di ripercorrere i passaggi che hanno portato ad inserire in Costituzione il vincolo del pareggio in bilancio e individuare come questa norma impatta sul settore pubblico e sui lavoratori.
Quali modifiche ha introdotto la legge n. 1 del 20 aprile 2012 agli articoli 81 e 97 della Costituzione?
Con la legge n. 1 del 2012, nel silenzio generale e senza alcun dibattito pubblico, il governo Monti su spinta dell’Unione europea e con la condivisione di tutte le forze politiche allora presenti in Parlamento, ha letteralmente stravolto la nostra Carta Costituzionale introducendo il principio del pareggio in bilancio.
Pertanto, con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione è stato previsto a livello statale l’obbligo di garantire “l’equilibrio tra le entrate e le spese”, mentre con la modifica dell’articolo 97 è stato previsto, a livello di singole amministrazioni pubbliche, l’obbligo di “assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
I diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione (diritto alla salute, diritto alla pensione, diritto all’istruzione, diritto al lavoro) vengono quindi cancellati perchè l’imposizione del pareggio in bilancio preclude interventi a sostegno dell’economia che, invece, sarebbero a maggior ragione necessari in una fase di recessione come quella che oramai attraversiamo da un decennio.
Qual’è il rapporto tra il vincolo del pareggio in bilancio e il Fiscal compact?
Il vincolo del pareggio in bilancio discende direttamente dal Fiscal compact che è un trattato firmato il 2 marzo 2012 da 25 Stati europei, con il quale i singoli capi di Stato hanno ceduto sovranità economica a un ente sovranazionale (l’Unione Europea), al di fuori di ogni processo democratico.
Il Fiscal compact entrerà a far parte dell’ordinamento comunitario entro il 2018 e comporta in particolare:
l’inserimento del pareggio in bilancio di ciascuno Stato attraverso “disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale” (in Italia questo punto è stato prontamente recepito nel 2012 appunto con la modifica dell’articolo 81);
l’attuazione di un programma di riforme strutturali, laddove per riforme si intendono quelle relative al mercato del lavoro, alla previdenza e ai servizi pubblici ovvero quelle manovre economiche che da anni stanno impoverendo settori sempre più ampi della popolazione;
l’obbligo di mantenere massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e PIL, già previsto dal trattato di Maastricht del 1992;
per i paesi con un rapporto tra debito e PIL superiore al 60 per cento, l’obbligo di ridurre il rapporto al ritmo di un ventesimo all’anno.
In relazione a quest’ultimo aspetto, considerando che nel nostro paese il rapporto debito/PIL è del 120%, questo significa prepararsi a manovre annue nell’ordine di 50 miliardi per un ventennio.
Come incidono questi vincoli sui lavoratori pubblici?
Lungi dal risolvere la crisi, il pareggio in bilancio unitamente alle altre regole imposte nei Trattati europei, ha accresciuto le diseguaglianze sociali, aumentato vertiginosamente la disoccupazione e aumentato il debito pubblico.
In particolare per i lavoratori pubblici la costituzionalizzazione del vincolo del pareggio in bilancio attraverso la modifica dell’articolo 81 e 97 costituisce un cocktail esplosivo penalizzandoli due volte: come cittadini e come lavoratori pubblici.
Come cittadini in quanto l’equilibrio tra entrate e spese sta comportando da tempo il drastico ridimensionamento di quel sistema di tutele sociali che pure sono contenute nella Costituzione, ma che sono sacrificate costantemente sull’altare del vincolo del pareggio in bilancio
Garantire a tutti il diritto di curarsi, il diritto ad una scuola pubblica e di qualità, il diritto ad una pensione che consenta una vecchiaia dignitosa, il diritto ai servizi pubblici sul territorio, comporta inevitabilmente impiego di risorse che urtano contro il principio dell’equilibrio tra entrate ed uscite.
Ma il pareggio in bilancio ci penalizza anche come lavoratori pubblici.
Quante volte ci siamo sentiti ripetere che “i conti pubblici devono essere in ordine” o che “non si può spendere più di quello che si incassa”? E quante volte i sottoscrittori del contratto CGIL, CISL UIL e pseudo autonomi ci hanno ripetuto che gli 85 euro medi lordi mensili erano il massimo al quale si potesse aspirare?
Ebbene la miseria che ci è stata erogata in termini salariali nell’ultimo rinnovo contrattuale è proprio figlia della logica del pareggio in bilancio per cui sul settore pubblico e più in generale sui lavoratori pubblici, non bisogna investire ma, al contrario, fare cassa per far quadrare i conti
Dall’altro lato, con la modifica dell’articolo 97 e la previsione di assicurare l’equilibrio dei bilanci delle singole Amministrazioni, si è costruita la base dal punto di vista costituzionale per reiterare il blocco del turn over, per chiudere uffici e più in generale per disinvestire sulle singole amministrazioni.
L’eterna spending review discende da qui: in nome dell’equilibrio dei bilanci si ridimensionano i servizi e una volta ridotti all’osso si accollano le responsabilità ai lavoratori e si spalancano le porte alla privatizzazione
Rompere la gabbia del vincolo del pareggio in bilancio
Per invertire la rotta nel settore pubblico occorre eliminare l’obbligo del pareggio in bilancio. E’ un passaggio ineludibile.
Lo vogliamo spiegare con un esempio estremamente concreto: a dicembre 2018 scadrà questa tornata contrattuale e si riaprirà la partita per i rinnovi.
Dentro le compatibilità economiche artatamente inserite in Costituzione, gli stanziamenti per i nuovi rinnovi contrattuali non potranno che seguire l’umiliante scia della tornata contrattuale appena terminata.
La penetrazione del pareggio in bilancio nelle politiche dei rinnovi contrattuali pubblici, d’altronde, è stata ben rappresentata nella sentenza della Corte Costituzionale del 2015 la quale, pronunciandosi in materia di rinnovo dei contratti pubblici, ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del blocco ma senza effetti per il periodo pregresso, quindi precludendo la possibilità di percepire gli arretrati. Ciò in quanto la Corte ha tenuto conto dell’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica misura “oggi più stringente, in seguito all’introduzione nella carta dell’obbligo di pareggio in bilancio”
L’articolo 81 diventa, il principio guida che si pone al di sopra dei diritti costituzionali e, quindi, considerato che la sacrosanta corresponsione degli arretrati avrebbe comportato una maggiore spesa pubblica tale da rendere impossibile il pareggio di bilancio, quel diritto deve cedere il passo e cessare di esistere.
Liberarsi dall’oppressione del pareggio in bilancio è quindi non una battaglia ideologica ma la precondizione per riaprire una stagione nuova nel settore pubblico!
FIRMA LA PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE!
SEPPELLIAMO IL PAREGGIO DI BILANCIO CON UN MARE DI FIRME!