Relazione su migrazione, di Valter Lorenzi (RdC)

“La gestione del flusso migratorio da parte dell’Unione Europea”

Nella mia breve comunicazione focalizzerò l’attenzione su alcuni elementi che evidenziano come, anche nella gestione dell’immane flusso migratorio indotto da precise politiche belliciste e di rapina contro i paesi dell’est e del sud del mondo, l’Unione Europea e i paesi dominanti che la compongono, cerchino di trarre il massimo profitto, in termini economici e di rafforzamento autoritario del processo costitutivo di un polo imperialista, in grado di competere con il colosso statunitense e le altre economie “emergenti” nell’area e a livello internazionale.

In questo conflitto il flusso migratorio è al contempo una risorsa e una contraddizione non solo di carattere economico, politico/sociale, militare, ma alla luce degli ultimi dati elettorali in Germania e Austria, anche di carattere istituzionale e di governabilità.

Se è vero, infatti, che l’immissione di forza lavoro già qualificata e proveniente dagli stati laici arabi offre un’importante occasione competitiva per le caratteristiche del sistema produttivo dell’UE, il problema per le attuali classi dominanti europee è chi gestirà nel prossimo futuro questo immenso “esercito industriale di riserva”, prodotto dalla distruzione sistematica di intere entità statuali, dall’ex Jugoslavia, all’Iraq, poi Afghanistan, Sudan, Libia,  sino ad arrivare alla Siria, allo Yemen e l’Ucraina di oggi.

Un’immigrazione che si associa alla migrazione interna, dai cosiddetti paesi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) e dell’est verso il nord Europa, creando condizioni ottimali di sfruttamento, perché’ produce un livellamento verso il basso dei salari e incrementa la precarietà, condizione permanente per i lavoratori europei ed immigrati messi in perpetua competizione tra loro.

Sul terreno militare l’UE ha costruito, attraverso la gestione delle migrazioni, un embrione di esercito europeo che altrimenti sarebbe stato difficile realizzare, finanziato per la sorveglianza delle frontiere esterne.

In un’epoca di crisi sistemica del capitalismo che non trova soluzione, ma anzi si approfondisce, con il suo portato di stagnazione e restringimento dei mercati di sbocco, si creano così opportunità per rilanciare l’economia di guerra e ricollocare le produzioni fino a ieri delocalizzate all’estero che oggi possono essere riportate nella dimensione continentale. Fenomeno che sta avvenendo in europa ma anche negli stati uniti, definito dagli economisti come back-reshoring

Alcuni dati sullo “tsunami” immigrazione, che possiamo a ragione definire il più grande effetto collaterale prodotto da 25 anni di aggressioni militari verso l’esterno e di guerra economico/sociale all’interno dei confini europei, ritengo siano utili per condividere, nella più generale riflessione di oggi, la dimensione dei processi in atto

  • Nel 2014, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di migranti forzati ha sfiorato i 60 milioni (59.965.888), con un aumento annuo di 8 milioni (dati agenzia onu per i rifugiati)
  • Di essi, i 2/3 sono sfollati interni (38 milioni secondo il norwegian refugee council), il restante terzo da rifugiati (20 milioni) e richiedenti asilo (1,8 milioni).
  • In Europa le persone con una cittadinanza diversa da quella del paese di residenza ammontano a circa 35 milioni, con una incidenza di oltre il 7% sulla popolazione totale.

Con una ripartizione disuguale in quanto alle provenienze

  • 14 milioni sono i cittadini UE
  • 21 milioni sono invece quelli provenienti da paesi terzi
  • Nel 2015 la Siria è divenuta il principale paese di origine di questi ultimi (3,9 milioni), superando l’Afghanistan (2,6 milioni) e la Somalia (1,1 milioni)

Di fronte all’improvviso flusso “via terra” dell’estate scorsa – grazie alla cinica pianificazione turca, in difficoltà sul fronte militare siriano – abbiamo assistito alla rappresentazione mediatica dei fuggitivi accolti a braccia aperte dalla Merkel, attraverso scene di propaganda di altri tempi, sulle quali la cancelliera si sta giocando una partita sia politica sia attinente la trasformazione del mercato del lavoro e alla competitività del più potente tra i paesi europei.

La velocità formidabile dei processi storici che scorrono di fronte ai nostri occhi ha trasformato l’iniziale euforia dell’accoglienza a braccia aperte nella tragica attualità di  Idomeni, che fa il paio con la ferocia dei governi dell’est europeo, con la decisione del governo danese di sequestrare ogni bene ai profughi, con la svolta autoritaria austriaca, ma, soprattutto, con l’accordo UE/Turchia del 18 marzo, che delega alla dittatura di Erdogan una gestione ferocemente mercantilista dei flussi migratori provenienti dalla siria, rinchiusi e selezionati in un immenso campo di concentramento e di collocamento allo stesso tempo, al servizio delle industrie occidentali

Un accordo in cui si paga un certo prezzo per un certo numero di migranti da accogliere, dopo aver selezionato, sulla base dei criteri imposti dall’“acquirente”, soprattutto tedesco, chi ha le caratteristiche per essere accolto e chi no. Un accordo che entra in stridente contraddizione con la consueta rappresentazione buonista dell’Unione Europea

Di fronte a questa situazione il grido d’allarme che proviene dalla troika UE e dai vari “guru” dell’informazione mainstream è il solito: “è a rischio il futuro dell’unione europea”. Questa frase sarà probabilmente ricordata come lo slogan che accompagna la storia del processo d’integrazione del polo imperialista europeo.

A togliere il velo d’ipocrisia che cerca di nascondere le oscenità del delicato passaggio nella vita interna dell’UE ci pensa Emanuele Parsi, analista del sole24ore, che in un suo recente articolo dice: “….l’accordo di libera circolazione delle persone (intendeva) consentire la costruzione di quel mercato unico in cui, dopo le merci e il capitale, anche il lavoro potesse muoversi senza vincoli eccessivi… non è in gioco l’abolizione di Schengen…ma la presa d’atto che è inverosimile lasciare muovere liberamente per il continente centinaia di migliaia di persone in fuga da guerra e miseria applicando loro regole concepite per la circolazione di un fattore di produzione (il lavoro)…”

Il problema è, quindi, esclusivamente di razionalizzazione dei flussi all’interno delle compatibilità e delle esigenze del mercato, al fine di ridurre il costo del lavoro, rendendo complessivamente più competitivo a livello mondiale il sistema produttivo continentale e quello tedesco in primo luogo.

Concludendo, noi pensiamo che, la contraddizione autoctoni/immigrati vada contestualizzata e liberata dalle trappole della propaganda. Per rimanere al nostro paese, gli immigrati equivalgono nei numeri i migranti.

I lavoratori migranti non sono competitivi nel mercato del lavoro poiché, di fatto, coprono lavori e funzioni diverse dagli autoctoni.

Quello che la cultura dominante ci propone è quindi una visione ideologica, che avvantaggia chi trae beneficio dalla lotta tra poveri, dal tutti contro tutti.

Una delle “vittime” di questa ideologia è la sinistra europeista, che in questi anni non si è mai misurata con le vere contraddizioni che anche su questo tema cruciale si andavano accumulando.

Ancorata alla visione mitologica di un’Europa dei popoli, questa sinistra non è solo disarmata di fronte agli scenari che si stanno determinando, ma introietta e propone regole e orientamenti che governano e guidano la costruzione del polo imperialista europeo, che trasuda eurocentrismo, colonialismo, razzismo e guerra, come dimostra plasticamente il governo greco di Syriza, il quale da una parte stabilisce accordi economici e militari con Israele, dall’altra al recente vertice dei ministri della difesa dell’alleanza atlantica ha richiesto ed ottenuto il coinvolgimento diretto della nato nel mar egeo, sostiene le decisioni dell’UE che, utilizzando l’accordo di Schengen e l’infame accordo con la Turchia, condanna migliaia di rifugiati a fare da carne da macello ai confini delle guerre fomentate e gestire dal polo imperialista europeo, dagli usa e dalla nato.

Dunque la battaglia sul terreno dell’ideologia si dovrà misurare anche con nemici per così dire “interni”, per dimostrare con i fatti l’interesse di classe comune tra immigrati e autoctoni.

Non sarebbe la prima volta nella storia del movimento operaio del nostro paese che gli “ultimi” agiscono non dal loro specifico ma da un punto di vista generale, rompendo così quell’isolamento che le classi dominanti vogliono imporre.

Un tale processo è però possibile solo a condizione che le organizzazioni di classe del nostro paese se lo pongano concretamente come obiettivo politico/sindacale e socio/culturale.

Non ci possiamo limitare alla battaglia contro la destra e il razzismo, ne rimanere imbrigliati nelle secche del buonismo unamitarista, l’altra faccia del segregazionismo

Da questo punto di vista la sollecitazione che ci proviene dal movimento sindacale dei migranti in Italia, e nella fattispecie da Aboubakar Soumahoro della USB in un nostro convegno a padova lo scorso 19 marzo, è quella della lotta alla “razzializzazione” interna, che si manifesta attraverso l’istituto del contratto di soggiorno legato al contratto di lavoro, che determina – grazie alla Turco/Napolitano e alla Bossi/Fini – una forma contemporanea di “apartheid” del mondo del lavoro migrante. I lavoratori stranieri vivono nella stessa società ma hanno, in base alla razzializzazione, contratti diversi e distinti. La lotta contro questa bieca forma di discriminazione dovrà innervare tutte le mobilitazione del movimento operaio italiano.

Ma esistono anche altri terreni oggettivi di battaglia comune, se è vero – come dimostrano i dati dell’inps e dell’istat – che il sistema pensionistico ed il welfare italiano è sostenibile grazie al lavoro degli immigrati.

La contraddizione che ci viene rappresentata mira esclusivamente a rompere e frammentare un possibile fronte unitario.

Connettere le lotte e i bisogni dei migranti nel più generale scontro di classe in corso, inserendo nei conflitti che vedono protagonisti gli immigrati elementi oggettivi di unificazione, come sta succedendo in questi mesi nel settore della logistica, in cui il conflitto sindacale è molto forte e si sta sviluppando.  Le vittorie sindacali dei lavoratori immigrati di questo settore di lavoro, in crescita in tutta europa, avvantaggia sia questi ultimi sia i lavoratori autoctoni, perché alzando il salario e le tutele impedisce che si abbassi complessivamente il costo del lavoro e dunque riduce la competizione tra lavoratori.

Questo riteniamo sia il compito per chi, come noi, intende sviluppare l’unico processo reale di emancipazione e di inclusione dei lavoratori migranti nella società: la ricomposizione di un blocco sociale a livello nazionale e continentale, attraverso il rilancio della lotta di classe, elemento imprescindibile per ipotizzare la rottura della gabbia dell’unione europe e la costruzione di un’alternativa concreta, un’alleanza euromediterranea, con tutti quei paesi e popoli che si incammineranno su questa strada, per nuovi rapporti sociali, economici, politici e culturali fuori e contro il capitalismo.