Entro dicembre il Parlamento deve approvare la micidiale tagliola del Fiscal Compact. Perchè nessuno ne parla?

Un’altra tagliola frutto dei Trattati Europei sta per scattare e ipotecare il nostro e gli altri paesi. Entro dicembre di quest’anno, cinque anni dopo la sua approvazione a Bruxelles, il Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), potrebbe essere inserito definitivamente nell’ordinamento giuridico europeo, divenendo giuridicamente superiore alla legislazione nazionale e rendendo irreversibili le politiche liberiste d’austerità. Ciò significa che entro fine anno i Parlamenti nazionali – incluso quello italiano – devono discutere e decidere il destino del Fiscal Compact.

Se dovesse essere confermato, il Fiscal Compact prevederà per il nostro Paese l’obbligo nei prossimi 20 anni di portare il rapporto debito-Pil dall’attuale 133% al 60%, con un taglio annuale della spesa pubblica di 50 miliardi. A questo d’altronde mira l’inserimento del “pareggio di bilancio” in Costituzione, previsto dal Fiscal Compact ed eseguito dal Parlamento italiano, senza alcun referendum popolare, nel 2012.

Il Fiscal Compact, infatti, proseguendo la linea tracciata dal Trattato di Maastricht in poi, assume la trappola del debito pubblico come cornice indiscutibile dentro la quale costruire la gabbia per i diritti sociali e del lavoro, lo smantellamento del welfare e la privatizzazione dei servizi sociali.

Si tratta della definitiva consegna di tutte le risorse del paese nei prossimi venti anni all’altare dei diktat dell’Unione Europea e dunque agli interessi delle grandi gruppi finanziari e delle multinazionali, oltre che di una definitiva sottrazione di democrazia, con scelte politiche ed economiche non più dettate dalla discussione democratica sulle necessità e le possibilità del paese, bensì sulla base degli anonimi algoritmi delle istituzioni finanziarie europee.

Come agirà il Fiscal Compact? Per riportare il debito al 60% del Pil in 20 anni dal livello in cui si trova oggi, bisogna tagliarlo del 5,5% ogni anno. Nel 2016 ad esempio il Pil italiano è stato pari a 1.672,438 miliardi di euro, per quest’anno – ritenuto di “crescita” – dovrebbe arrivare a sfiorare i 1.700. Mentre il debito pubblico si aggira intorno ai 2.300 miliardi (2.280, secondo le stime più recenti). Ridurre questa montagna del 5,5% significa destinare oltre 120 miliardi di euro di tagli alla sola riduzione del debito. Ma deve essere chiaro che si tratta di una cifra che vale solo per il primo anno (riducendo il debito, la proporzione fissa si traduce in una cifra leggermente minore ogni anno). E’ vero anche che se l’economia cresce (il Pil aumenta), in proporzione il debito diminuisce. E’ vero anche che se l’inflazione riprende a salire, quel debito si riduce in proporzione.
Ma è doveroso sottolineare come sia la crescita economica che l’inflazione sono una possibilità, non una certezza. E anche la loro dimensione non può essere prevista oggi (se non, in parte, per l’anno prossimo). Al contrario, la riduzione del debito prevista dal Fiscal Compact – una volta ratificato – è obbligatoria, fissata in percentuale e non soggetta ad alcuna variabile “politica”. Questo significa che negli anni “buoni” (in cui si sommano crescita del Pil e dei prezzi) quella cifra spaventosa sarà leggermente più leggera, mentre negli anni “brutti” (un po’ di recessione e inflazione a zero) diventerà una pietra lanciata a chi sta già affogando.
Si tratta dunque di un’altra regola “automatica” vincolante per qualsiasi governo, a prescindere dal “programma” con cui si è presentato alle elezioni per poterci arrivare. A meno che non decide di rompere questa gabbia e di rimettere al centro gli interessi popolari, consapevole di dover fare i conti con le minacce e le ritorsioni dell’Unione Europea.