A proposito di elezioni europee. Nè Orban Nè Macron

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Abbiamo il piacere di salutare fraternamente i compagni di Podemos, Potere al Popolo, l’Alleanza Rosso-Verde che sono con noi per questo incontro. Siamo molto entusiasti di questa discussione dalla dimensione europea e internazionalista e li ringraziamo calorosamente per aver risposto al nostro invito a nome della nostra corrente Ensemble-Insoumis.

Né austerità, né autoritarismo

In questa partita che sembra già giocata tra liberali e nazionalisti, stiamo assistendo a un gioco malsano e perverso tra liberali, ultraliberali e nazionalisti di estrema destra, in una gara al rilancio e un’opposizione di facciata ampiamente sopravvalutata.

Orban ha deciso di aprire il gioco dichiarando a luglio di non volere “un’Unione europea guidata dalla Francia” e lanciando una petizione sulla questione del bilancio europeo e dell’immigrazione. In agosto ha tenuto una conferenza stampa congiunta con Salvini.

Macron, da parte sua, ha annunciato un “ritorno europeo della battaglia”, dove intende stabilire una frontiera tra “progressisti e nazionalisti, al centro delle sfide del 2019”. Ma Macron non si è congratulato con Salvini per essersi rifiutato di ospitare l’Aquarius? Ha dimostrato una reale volontà politica e una proposta per un’accoglienza e una distribuzione dignitosa dei migranti all’interno dell’UE, in cui la Francia farebbe la sua parte a pieno titolo? Vorrebbe negare le riforme dell’estrema destra austriaca al potere, che ha appena annunciato la giornata lavorativa di 12 ore?

La realtà è che il bilancio dell’Unione Europea e delle politiche europee ha prodotto una rottura tra la rappresentanza politica e le classi lavoratrici, e ha incoraggiato tutti i più preoccupanti ripiegamenti identitari. Anche le disuguaglianze, la povertà e la precarietà, la stretta compiacenza verso le lobby e le imprese transnazionali, l’impasse energetica, agricola e climatica, sono tutti punti negativi da imputare a un’Unione Europea che si è ormai dimostrata inefficace nel rispondere ai bisogni, alle sfide e alle emergenze, ma ancor più nei suoi effetti negativi e distruttivi nei confronti delle condizioni di vita dei lavoratori e delle popolazioni.

E se in alcuni campi le politiche europee sono state in grado di rappresentare un orizzonte progressivo e permettere dei miglioramenti, come in Irlanda, con l’introduzione di un salario minimo, o anche per quanto riguarda le politiche ambientali con Natura2000 e la direttiva quadro sull’acqua, o per quanto riguarda la prospettiva di genere e la parità donna-uomo, questi stessi timidi progressi vengono ora spazzati via dall’aspetto ultra liberale del Patto di stabilità, dalle privatizzazioni e dalla concorrenza libera e non distorta.

Queste politiche antisociali e di austerità hanno le loro controparti autoritarie e identitarie, a volte guidate dagli stessi governi in Francia, come ad esempio, il dibattito sulla revoca della nazionalità e dell’identità nazionale, che è condotto dalle stesse persone e contemporaneamente alle leggi sul lavoro e sulle pensioni, sotto il mandato quinquennale di François Hollande.

Assistiamo quindi ad uno scambio di argomenti e di influenze tra l’estrema destra e i liberali, dove entrambi possono essere a loro volta causa e conseguenza e quindi alimentarsi, con la reale possibilità che l’unità tra questi sia raggiunta attraverso risposte autoritarie (come già avviene per quanto riguarda la questione dell’accoglienza dei migranti) o che in questa materia e secondo la nota espressione sia preferibile “l’originale piuttosto che la fotocopia”.

Non c’è anche il dubbio che l’accentuazione delle politiche liberali di aumento delle disuguaglianze e di smantellamento dei servizi pubblici è accompagnata da un arsenale giuridico-poliziesco volto a contenere le popolazioni (schedatura…) e gli attivisti, un processo chiaramente al lavoro sin da Sarkozy e metodicamente rafforzato, mandato dopo mandato.

La reazione dei popoli questa sbandierata dicotomia si può osservare sull’erosione dell’argomento del “ricatto elettorale”: ad esempio in Francia, durante i duelli nelle elezioni presidenziali dove nel 2002, il rifiuto del candidato di estrema destra era dell’80% mentre nel 2017 era solo del 60%.

Ma l’estrema destra ha una sua dinamica e non può ridursi al lato “utile e stupido” del liberalismo, come dimostrano i chiari attacchi ai diritti fondamentali in Ungheria (divieto dello spettacolo Billy Eliot), in Danimarca (congelamento dei beni dei rifugiati)… o le parole di Salvini che descrivono i migranti come “schiavi africani”, dopo aver cancellato i figli di coppie omosessuali dal registro civile.

Inoltre, la questione dell’accoglienza dei migranti assume una dimensione considerevole tra la maggior parte degli europei perché tocca i fondamenti stessi degli impegni umanitari ed egualitari dei movimenti veramente progressisti. I 15mila morti nel Mediterraneo sono una macchia indelebile per l’intero continente e dobbiamo mantenere il dovere di accoglienza e di parità dei diritti di fronte all’offensiva dell’estrema destra che, contrariamente al discorso di Macron che finge di opporvisi, ispira le politiche di chiusura perseguite dai governi europei, Francia compresa.

In questo contesto di un rapporto di forza degradato per il movimento sociale, dal crollo dei partiti di sinistra, compresi quelli che facevano riferimento anche a noi, dalle linee ideologiche a volte sfocate, non è così semplice inserirsi per imporre un’altra direzione, ed è per questo che l’iniziativa “Ora il popolo” sembra essere un’ottima notizia.

Ora il popolo”, una buona notizia nel contesto europeo

Dalla primavera 2018 e in prospettiva delle elezioni europee del 2019, è stato confermato il raggruppamento di forze, la maggior parte delle quali sono simili sia nella forma di “movimento” che si sono date che nella sostanza politica di rottura con le politiche dell’Unione Europea al di fuori della tentazione del ripiegamento sovranista.

Questo è stato formalizzato da una dichiarazione fatta il 12 aprile 2018 a Lisbona [1], una scelta simbolica volta a “lavare l’affronto” della firma del Trattato di Lisbona a livello dell’Unione Europea (2007), che ha approvato lo schiacciamento dei voti referendari di Francia e Irlanda in particolare. Sono quindi le umiliazioni subite dai popoli di fronte alle politiche dell’UE, di cui l’esempio greco e anche spagnolo sono senza dubbio i più evidenti, che sono in linea con l’approccio.

Estratti dalla dichiarazione di Lisbona “Ora il popolo”:

« (…..) In questo spirito di insubordinazione di fronte allo stato attuale delle cose, di rivolta democratica, di fiducia nella capacità democratica dei nostri popoli di fronte al progetto morto delle élite di Bruxelles, facciamo oggi a Lisbona un passo avanti. Noi lanciamo un appello ai popoli d’Europa a unirsi nel compito di costruire un movimento politico internazionale, popolare e democratico per organizzare la difesa dei nostri diritti e della sovranità dei nostri popoli di fronte a un ordine vecchio, ingiusto e fallimentare che ci porta direttamente al disastro.

Coloro che vogliono difendere la democrazia economica, contro i grandi truffatori e l’1% che controlla più ricchezza di tutto il resto del pianeta; la democrazia politica, contro coloro che innalzano le bandiere dell’odio e della xenofobia; la democrazia femminista, contro un sistema che discrimina ogni giorno e in tutti gli ambiti della vita metà della popolazione; la democrazia ecologista, contro un sistema economico insostenibile che minaccia la continuità stessa della vita sul pianeta; la democrazia internazionale e la pace, contro coloro che vogliono costruire ancora una volta l’Europa della guerra; coloro che condividono la difesa dei diritti umani e dei principi fondamentali del benessere troveranno in questo movimento la loro casa. (…) »

Ad oggi e per il momento, poiché il processo è ancora in fase di allargamento, 6 organizzazioni politiche sono soggetti interessati nel percorso: Podemos (Spagna), Bloco de Esquerda (Portogallo), La France Insoumise, Alleanza Rosso-Verde (Danimarca), Partito della Sinistra (Svezia) e Alleanza di Sinistra (Finlandia). Sono in corso delle discussioni con il giovane movimento italiano Potere Al Popolo, l’irlandese Sinn Féin…

Sono previste diverse campagne in comune: evasione fiscale, povertà, pace (su proposta di France Insoumise). Si pone ovviamente la questione di rendere visibili queste campagne europee comuni con i compagni di “Ora il popolo”.

Per aggregare, questo orientamento e questo movimento dovrà riunione una serie di condizioni, a cominciare dai movimenti sociali e dalle formazioni politiche europee che hanno rotto con il social-liberismo e le politiche di austerità e produttivismo. Tuttavia, pesano i rinnegamenti della CES [Confederazione europea dei sindacati, ndt] e la valutazione del fallimento dei Forum sociali europei. Bisogna notare l’assenza di un movimento europeo di solidarietà con il popolo greco. I movimenti sociali si trovano in una situazione di stallo, in una situazione frammentata, sia alla ricerca di nuove modalità organizzative (spontaneità, orizzontalità, luogo delle reti) sia di unificazione delle rivendicazioni sociali e democratiche (in un momento in cui l’elevazione delle conquiste sociali attraverso l’Unione Europea non è più all’ordine del giorno).

A ciò si aggiunge il movimento per il clima, che sta cercando modalità di organizzazione su scala europea. Ciò solleva per l’ennesima volta la questione delle relazioni tra organizzazioni politiche e movimenti sociali e delle possibili traduzioni di tali relazioni sul terreno elettorale e in materia di mobilitazioni. In Francia, dal 2005 e dalla campagna sul no al TCE [il trattato che istituisce la Comunità europea, ndt], tale arco di forze non esiste più.

Tra le condizioni da sempre, l’andamento dell’unità di battaglia e mobilitazione contro lo sfruttamento, con ad esempio l’asse scelto da Potere al Popolo, che risponde “prima gli sfruttati” di fronte al “prima gli italiani” di Salvini.

All’ordine del giorno c’è ancora una volta il dibattito che attraversa molti dei movimenti sopra menzionati, cioè “unire la sinistra” e/o unire le persone, che mette in discussione non solo il registro dei riferimenti storici, ma anche quello delle modalità organizzative (voti elettronici, piattaforme, sorteggi…).

Infine, naturalmente, per quanto riguarda la critica all’attuale costruzione europea, si pone la prospettiva positiva di una ricostruzione di un’Europa di cooperazione transnazionale basata su assi di trasformazione sociale, democratica ed ecologica, e non su confini geografici in un mercato comune imposto. Anche se alcuni di noi potrebbero avere ancora in mente la prospettiva degli “Stati Uniti socialisti d’Europa”, resta il fatto che questo progetto di trasformazioni e di cooperazioni positive deve ancora essere scritto.

Alla sovranità nazionale e a quella – subita – di una concorrenza libera e non distorta, questo progetto oppone la cooperazione basata su sovranità scelte: la sovranità democratica, popolare, alimentare, i diritti sociali dei produttori associati, che si riferiscono tutti alle nozioni di diritto e potere sulla nostra vita.

La portata della crisi e la necessità di tener conto delle dimensioni nazionali

Se guardiamo all’opinione europea, come riportato dall’Eurobarometro del primo semestre del 2018 [2], possiamo avere la dolce impressione di una unificazione dei punti di vista dei popoli europei. L’Eurobarometro è quindi soddisfatto, un livello record di europei (60%) mostra un’opinione favorevole sull’adesione dei loro paesi all’Unione Europea. Non c’è dubbio che le crisi del debito e le crisi internazionali rafforzano il senso di sicurezza offerto dall’area europea. Il 48% ritiene che il loro voto conta a livello europeo, e un terzo anche che il loro voto può cambiare il corso delle politiche europee (si presume che questo sia lo stesso terzo che conosce la data delle elezioni del 2019…).

Più rivelatori, anche se preoccupanti, tra i 3 temi prioritari che preoccupano gli europei, vengono: 1) la lotta contro il terrorismo, 2) l’occupazione giovanile, 3) immigrazione. Quest’ordine di preoccupazioni è completamente inverso rispetto all’Eurobarometro del 2014, in cui la lotta contro il terrorismo non faceva che il 7% di preoccupati rispetto al 49% del 2018.

Infine, e per sorridere un po’, gli analisti dell’Eurobarometro rilevano con perplessità che il 42% degli europei è preoccupato per la crescita economica “mentre gli indicatori economici stanno migliorando”. È qui che i brillanti analisti si chiedono se questo non sia un effetto “barlume delle disuguaglianze percepite a livello nazionale”.

È qui che sta la tragedia per la bella “macchina europeista”: avere l’impressione di fare tutto bene e non essere ben accolta dai cittadini, perché in effetti l’idea dell’Unione Europea – nel senso “nobile” del termine – è in crisi sotto le conseguenze dei tagli ai fondi delle politiche economiche per favorire liberalizzazione e concorrenza.

Queste politiche hanno ovviamente avuto effetti differenziati a seconda dei paesi e del loro livello di protezione sociale, o di integrazione nelle dinamiche di crescita capitalistica. Se la rottura è profonda, a livello democratico, sociale, economico ed ecologico, tra gli interessi della tecnocrazia europea e quelli dei popoli, la valutazione può quindi essere ricca di sfumature a seconda dei paesi, soprattutto perché si è osservata una modalità quasi imperialista tra i paesi europei, in particolare durante la crisi greca. Ciò apre logicamente la strada ai ripiegamenti, ai rifiuti e al ritorno alla casa nazionale.

Poiché le esperienze nazionali non possono essere ridotte l’una all’altra, è quindi importante ripartire dalle esistenze e dalla consapevolezza, a livello territoriale e nazionale, per poter parlare nuovamente di un progetto europeo di emancipazione, avendo cura di non ridurre le esperienze nazionali l’una all’altra e di srotolare il filo degli effetti nazionali delle politiche decise a livello europeo (2 regolamenti nazionali su 3 derivano da norme europee).

Se diamo uno sguardo all’Unione Europea nel suo insieme, la bella armonia ancora elogiata il 12 settembre scorso da Jean-Claude Juncker nel suo discorso di politica generale – “abbiamo bisogno di un’Europa forte e unita”, come mantra del metodo Coué – appare più come un campo di tensioni, con un quadro fatto di discorsi di uscite, rotture, secessione.

I giovani a livello globale, ma soprattutto i giovani dei paesi del sud del continente, sono le principali vittime dell’epurazione liberale e dell’austerità. Devono scegliere tra la precarizzazione delle loro condizioni di vita, di studio e di lavoro o l’emigrazione.

Possiamo quindi vedere una sorta di puzzle, in cui il Portogallo è in grado di limitare la rottura nel quadro dei trattati, ma in una situazione sociale molto deteriorata, segnata dall’esilio dei suoi giovani; in cui l’Italia annuncia un bilancio che non rispetta le regole del Patto di stabilità; in cui un paese ha vissuto un’esperienza di crollo totale e in cui si sta negoziando un fatto completamente inedito, cioè un’esperienza di secessione con la Brexit.

Inoltre, la crisi politica delle grandi coalizioni e dei partiti sembra totalmente confermata, e colpisce anche la stessa Francia e il cosiddetto “rinnovamento” rappresentato dal movimento “En marche”, baricentro della maggioranza presidenziale, dopo le dimissioni del Ministro dell’Interno Collomb, a conferma della crisi di governo iniziata con quelle di Nicolas Hulot.

Il Ministro dell’Interno dice di non poter fare nulla per la pubblica sicurezza, il Ministro dell’Ecologia di non poter far nulla di fronte alla crisi climatica, e Macron consiglia ai disoccupati di attraversare la strada per trovare lavoro e ai pensionati di lamentarsi…

Questa è l’ammissione di un potere politico dimissionario ed espropriato economicamente, in fallimento in termini di legittimità democratica.

Rispondere a queste dimensioni della crisi implica articolare in un programma radicale i diversi aspetti democratici, sociali ed ecologici.

Avviare una rivoluzione sociale, ecologica e democratica/cittadina

Più che un catalogo di rivendicazioni, dobbiamo insistere sul significato, la coerenza e l’articolazione tra le diverse dimensioni dei campi previsti, ma anche sulla spazialità delle alternative.

Tuttavia, è senza illusioni sulle istituzioni europee, e in particolare sulle gravi carenze democratiche che costituiscono in maniera consustanziale il funzionamento europeo, che noi ci impegniamo a uscire dai trattati liberali dell’Unione Europea, il che implica essere sostenuti a livello popolare e inventare nuove forme di partecipazione/decisione, e questo in ogni fase della campagna, naturalmente, ma anche a seguito di quest’ultima. Questo meccanismo può essere preso in considerazione durante la campagna attraverso strumenti messi in campo in particolare da Podemos, o quelli degli audit cittadini in contrapposizione all’espertocrazia (vedi audit del debito greco).

Alternative

Lo stato del movimento sociale e dei movimenti politici ci impone di lavorare per ripristinare il “noi vogliamo” e portarlo al “noi possiamo”, ripartendo dalle condizioni di vita delle persone e dando loro visibilità pubblica. É anche importante incoraggiare e stimolare tutte le iniziative che permettono un’azione congiunta, di solidarietà (vedi l’esempio della scuola a Marsiglia, ridipinta con gli abitanti) anche se appaiono minori. Lo stesso vale per gli esperimenti locali, che riguardino la sovranità alimentare, l’economia circolare e solidale, le esperienze cooperative o di municipalismo ecologico e solidale. É necessario fornire traduzioni visibili di un’auto-organizzazione cittadina egalitaria e democratica.

Resistenze

Si tratta anche di denunciare la collusione dei governi nazionali con le istituzioni dell’Unione Europea e di usare la questione europea per sollevare la protesta contro le autorità nazionali, siano esse liberali o di estrema destra. Ciò implica l’organizzazione delle resistenze e delle contestazioni, come ad esempio sulla questione del potere delle lobby, delle imprese e della finanza (indipendenza della Banca Centrale Europea…); resistenze che passano attraverso tutta una serie di azioni, ad iniziare dal “non consenso” e dalla disobbedienza organizzati collettivamente. Ciò risponde anche alle aspirazioni di riconquista democratica nel rifiuto di decisioni tecnocratiche o addirittura autoritarie.

Spetta a noi stabilire anche il legame tra le resistenze e le controversie esistenti e indirizzarle collettivamente e massicciamente verso un scontro con le classi dirigenti, nella costruzione di un rapporto di forza accettato. Per questo motivo la campagna della France Insoumise / Maintenant le peuple include una dimensione referendaria: “infliggere una sconfitta a Macron” durante le elezioni europee del 2019.

Protezioni dei beni comuni

Di fronte alle ansie avvertite dai popoli, che possono portarli al ripiegamento e alla tentazione identitaria, dobbiamo incarnare e proporre un programma di protezione integrale, ovunque e a tutti i livelli.

Protezione dei giornalisti, protezione dei lavoratori contro il dumping sociale e la direttiva sul distacco dei lavoratori, protezione dell’ambiente e delle condizioni di salute, protezione alimentare per vivere, protezione del clima e della biodiversità, protezione dei servizi pubblici come garanti dell’uguaglianza, progresso, coesione e mezzi di transizione ecologica, creazione di beni comuni nelle città e nei territori (rete di città ribelli, carta delle città d’accoglienza….), protezione ed estensione dell’uguaglianza dei diritti (donne, LGBTQ, ecc), accoglienza e protezione incondizionata dei rifugiati e dei migranti…

Possiamo quindi promuovere il nostro progetto ecosocialista, che pone al centro del suo scopo d’emancipazione l’articolazione della giustizia sociale e della giustizia ambientale, nella convinzione che ogni transizione ecologica deve essere socialmente giusta per essere sostenibile e che ogni rivoluzione sociale deve essere ecologicamente sostenibile per servire veramente gli sfruttati.

Siamo naturalmente consapevoli dell’alto livello di confronto necessario per imporre, con il massiccio sostegno popolare, le necessarie rotture con l’ordine europeo stabilito. Ci affidiamo alla federazione delle proteste e delle aspirazioni popolari, all’organizzazione della disobbedienza e alla lenta e impaziente costruzione dei rapporti di forza necessari per raggiungere i nostri obiettivi.

 * Introduzione di Laurence Lyonnais, candidata della lista La France Insoumise alle elezioni europee, al dibattito “Ni Macron, Ni Orban: quelle orientation pour la campagne des Européennes”, all’interno dell’incontro nazionale di Ensemble Insoumis.es del 6 ottobre 2018, al quale hanno preso parte Lorenzo Trapani (Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo!) e Andrea Mencarelli (Potere al Popolo! Parigi). Traduzione a cura di Andrea Mencarelli del testo dell’intervento pubblicato su: http://reflexions-echanges-insoumis.org/ni-orban-ni-macron-a-propos-de-la-campagne-pour-les-elections-europeennes

Note:

[1] Completata il 27 giugno 2018 a Bruxelles. Si vedano i testi delle dichiarazioni: https://lafranceinsoumise.fr/2018/06/27/le-mouvement-europeen-maintenant-le-peuple-selargit

[2] http://www.europarl.europa.eu/luxembourg/fr/leuropeetvous/eurobarometre-2018.html