Eurostop all’assemblea di Roma. “Senza rottura non c’è cambiamento possibile”

L’intervento della Piattaforma Eurostop all’assemblea di Roma del 18 novembre (Teatro Italia)

La “pazziata” convocata dai compagni di Napoli ha risolto un problema per molti: adesso c’è una idea e una proposta sul campo per affrontare la scadenza elettorale.

L’ipotesi del Brancaccio è fallita perché era il residuo di un piccolo e ormai insopportabile mondo antico della sinistra italiana.

La prospettiva che può indicare l’assemblea di oggi è priva di quella opprimente sensazione di sconfitta o di quel senso da ultima spiaggia, al contrario potrebbe rilanciare in avanti.

Oggi è necessario in campo una visione decisiva: quello di un cambiamento radicale di sistema di disuguaglianze sociali e autoritarismo diventato ormai insostenibile e insopportabile proprio perché è fondato sulle disuguaglianze e l’autoritarismo. Quindi è un’assemblea che vorrebbe mettere fine alla stagione del meno peggio o dell’illusione di poter tirare la giacca a governi amici e alla politica istituzionale.

Di fronte a questo stato mentale delle esperienze della sinistra, la gente, il nostro popolo o non va a votare o “vota per vendetta” – come dimostrano le ultime elezioni nelle periferie o i risultati delle Rsu nelle fabbriche metalmeccaniche – anche contro una sinistra ormai percepita come parte del sistema e del problema e non una sua alternativa.

Se rimettiamo finalmente in campo l’idea del cambiamento, dobbiamo rimettere in circolazione anche l’idea che questo non è possibile senza una rottura con la situazione esistente. E sul quadro esistente pesa un convitato di pietra – rimosso troppo spesso dall’analisi e della discussione –  e che detta fin nei minimi dettagli (a livello di governo centrale e di amministrazioni locali) i limiti dentro cui è consentito muoversi.

Questo convitato di pietra è la gabbia costruita intorno all’Unione Europea, alla Nato e all’Eurozona. E’ una gabbia fatta di vincoli e automatismi in cui non c’è spazio per la democrazia, la sovranità popolare, le risorse o i margini per cambiare concretamente l’ordine delle priorità sociali (l’esperienza della Grecia lo ha dimostrato). E questi trattati vincolanti sono incompatibili con la Costituzione che abbiamo difeso con efficacia nel referendum del 4 dicembre dello scorso anno.

La Piattaforma Eurostop guarda positivamente alla proposta messa in campo dai compagni di Napoli e su questo discuterà e deciderà nella sua assemblea nazionale del prossimo 2 dicembre.

In coerenza con la sua ragione sociale, Eurostop ritiene centrale e decisiva la questione della rottura con l’Unione Europea, l’euro e la Nato come presupposto inevitabile di ogni vera ipotesi di cambiamento politico, democratico e sociale nel nostro e negli altri paesi.

A nostro avviso questo è uno spazio politico e sociale praticabile con efficacia per le forze progressiste – come si è visto in Francia – ed è l’unico, insieme all’antifascismo militante, che può contendere lo spazio alla destra tra la nostra gente, nelle periferie come nei luoghi di lavoro.

Discutiamone presto e lealmente e lavoriamo ad una sintesi possibile.

Piattaforma Eurostop

Roma, 18 novembre

Entro dicembre il Parlamento deve approvare la micidiale tagliola del Fiscal Compact. Perchè nessuno ne parla?

Un’altra tagliola frutto dei Trattati Europei sta per scattare e ipotecare il nostro e gli altri paesi. Entro dicembre di quest’anno, cinque anni dopo la sua approvazione a Bruxelles, il Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), potrebbe essere inserito definitivamente nell’ordinamento giuridico europeo, divenendo giuridicamente superiore alla legislazione nazionale e rendendo irreversibili le politiche liberiste d’austerità. Ciò significa che entro fine anno i Parlamenti nazionali – incluso quello italiano – devono discutere e decidere il destino del Fiscal Compact.

Se dovesse essere confermato, il Fiscal Compact prevederà per il nostro Paese l’obbligo nei prossimi 20 anni di portare il rapporto debito-Pil dall’attuale 133% al 60%, con un taglio annuale della spesa pubblica di 50 miliardi. A questo d’altronde mira l’inserimento del “pareggio di bilancio” in Costituzione, previsto dal Fiscal Compact ed eseguito dal Parlamento italiano, senza alcun referendum popolare, nel 2012.

Il Fiscal Compact, infatti, proseguendo la linea tracciata dal Trattato di Maastricht in poi, assume la trappola del debito pubblico come cornice indiscutibile dentro la quale costruire la gabbia per i diritti sociali e del lavoro, lo smantellamento del welfare e la privatizzazione dei servizi sociali.

Si tratta della definitiva consegna di tutte le risorse del paese nei prossimi venti anni all’altare dei diktat dell’Unione Europea e dunque agli interessi delle grandi gruppi finanziari e delle multinazionali, oltre che di una definitiva sottrazione di democrazia, con scelte politiche ed economiche non più dettate dalla discussione democratica sulle necessità e le possibilità del paese, bensì sulla base degli anonimi algoritmi delle istituzioni finanziarie europee.

Come agirà il Fiscal Compact? Per riportare il debito al 60% del Pil in 20 anni dal livello in cui si trova oggi, bisogna tagliarlo del 5,5% ogni anno. Nel 2016 ad esempio il Pil italiano è stato pari a 1.672,438 miliardi di euro, per quest’anno – ritenuto di “crescita” – dovrebbe arrivare a sfiorare i 1.700. Mentre il debito pubblico si aggira intorno ai 2.300 miliardi (2.280, secondo le stime più recenti). Ridurre questa montagna del 5,5% significa destinare oltre 120 miliardi di euro di tagli alla sola riduzione del debito. Ma deve essere chiaro che si tratta di una cifra che vale solo per il primo anno (riducendo il debito, la proporzione fissa si traduce in una cifra leggermente minore ogni anno). E’ vero anche che se l’economia cresce (il Pil aumenta), in proporzione il debito diminuisce. E’ vero anche che se l’inflazione riprende a salire, quel debito si riduce in proporzione.
Ma è doveroso sottolineare come sia la crescita economica che l’inflazione sono una possibilità, non una certezza. E anche la loro dimensione non può essere prevista oggi (se non, in parte, per l’anno prossimo). Al contrario, la riduzione del debito prevista dal Fiscal Compact – una volta ratificato – è obbligatoria, fissata in percentuale e non soggetta ad alcuna variabile “politica”. Questo significa che negli anni “buoni” (in cui si sommano crescita del Pil e dei prezzi) quella cifra spaventosa sarà leggermente più leggera, mentre negli anni “brutti” (un po’ di recessione e inflazione a zero) diventerà una pietra lanciata a chi sta già affogando.
Si tratta dunque di un’altra regola “automatica” vincolante per qualsiasi governo, a prescindere dal “programma” con cui si è presentato alle elezioni per poterci arrivare. A meno che non decide di rompere questa gabbia e di rimettere al centro gli interessi popolari, consapevole di dover fare i conti con le minacce e le ritorsioni dell’Unione Europea.

 

 

Diecimila al corteo di Roma. In piazza c’era la società reale

Quella di ieri a Roma è stata una prima, importante prova di riunificazione sociale e politica. Non della “sinistra” (parola da abbandonare, ormai), ma di un blocco sociale capace di darsi una visione politica. Ha sbagliato chi non c’era, e sbaglierà ancora se resterà fuori da questo processo.

In piazza si è concretizzata più di altre volte l’unità materiale di lavoratori di qualsiasi colore e con qualsiasi contratto: italiani “popolani”, settentrionali e meridionali, neri, magrebini, asiatici e latinoamericani. Ed anche dipendenti pubblici, operai metalmeccanici, braccianti, vigili del fuoco in divisa (con la polizia che voleva sequestrare – ad inizio corteo – uno scudo in dotazione perché “di metallo”), precari di tutte le età, facchini della logistica, disoccupati organizzati e non, studenti alle prime sortite fuori dai problemi settoriali (alternanza scuola-lavoro, tetti che crollano, ecc); occupanti e inquilini, delle case popolari o degli “enti in dismissione” che fanno ogni giorno i conti con sfratti, ingiunzioni, truffe. In questo senso è stato decisivo il contributo della Usb reduce da una giornata di sciopero generale riuscito.

L’invito della Piattaforma sociale Eurostop è stato insomma raccolto da un fronte più ampio, fino a diventare il Comitato 11/11. Inequivoco lo striscione d’apertura: “Via il governo delle banche, della precarietà e dei manganelli”, che legava insieme i beneficiari di un modo di governare, la condizione esistenziale di chi è obbligato a lavorare “sotto padrone” e le pratiche repressive incaricate di mantenere entro i confini dell’insignificanza ogni protesta.

Un fiume di persone che vogliono essere protagoniste della vita sociale e politica, non una pattuglia di arrabbiati che “sanno dire solo no”. Un fiume di gente che comprende benissimo come il governo sia al servizio di interessi sociali del tutto contrapposti e sotto lo stretto controllo di una “struttura sovranazionale” priva di qualsiasi legittimità democratica.

Una seconda osservazione riguarda “il nemico”. Mai avevamo visto un così compatto muro di omertà mafiosa contro una mobilitazione di massa. Un muro di silenzio mediatico che costituisce ormai il complemento strutturale della strumentazione più volgarmente repressiva. Sia prima che durante e dopo lo sciopero generale e la manifestazione di ieri. E dire che di giornalisti in piazza se ne sono visti, hanno registrato interviste, fatto domande. Di tutto ciò nulla è arrivato a diventare “prodotto finito”, ossia informazione destinata a raggiungere il pubblico. Meglio dare notizia di qualsiasi stupidaggine, piuttosto che rendicontare di una fetta consistente di un “blocco sociale in formazione” che porta in strada non solo malcontento, ma rivendicazioni, dignità e capacità di indicare un avversario chiaro, un responsabile del malessere sociale crescente.

Poco male. Ormai, i giornali non li legge più nessuno e i telegiornali non li vede più nessuno. La rete consente la circolazione delle informazioni e delle immagini che testimoniano la realtà. E’ stata questa la forza della operazione verità rappresentata dalla manifestazione di sabato 11 novembre.

Adesso appuntamento all’assemblea nazionale di Eurostop il 2 dicembre per discutere e decidere come affrontare la nuova fase politica

Eurostop e le due giornate di lotta del 10 e 11 novembre

Nonostante lo scandaloso silenzio dei mass media – preoccupato unicamente di dar grande copertura al piccolo gruppo fascista chiamato Casapound (“ringraziato” con una lunga diretta di RaiNews) – il 10 e l’11 novembre il nostro paese vivrà due grandi giornate di protesta contro il governo, le politiche di austerità e contro la UE che le ispira ed ordina.
Il 10 lo sciopero generale proclamato da USB, COBAS, UNICOBAS  e da altre sigle sindacali coinvolgerà tutto il mondo del lavoro pubblico e privato, con decine e decine di manifestazioni previste in tutta Italia, due a Roma.

Nonostante lo scandaloso immobilismo e la complicità di CGILCISLUIL, il mondo del lavoro scende in lotta contro la legge Fornero, il Jobsact, la Buona Scuola, le leggi Minniti, contro la distruzione dei contratti e dei diritti, i licenziamenti e il taglio dei salari, contro le spese di guerra, le uniche a crescere sempre.

È uno sciopero che trova il sostegno di oltre 40 organizzazioni sociali e politiche, che, sugli stessi temi della giornata di lotta, hanno costituito il Comitato 11/11 per organizzare una manifestazione nazionale a Roma l’11 novembre.

La manifestazione di sabato, che già si annuncia numerosa con i tanti pullman e mezzi di trasporto già organizzati, sarà esplicitamente diretta contro il governo Gentiloni e le sue politiche e sarà aperta dallo striscione comune:

VIA IL GOVERNO DELLE BANCHE DELLA PRECARIETÀ DEI MANGANELLI.

La manifestazione ha avuto anche l’adesione dei partigiani Lidia Menapace e Umberto Eros Lorenzoni, di Moni Ovadia e di Valerio Evangelisti, del presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena e di altri giuristi, intellettuali, militanti  dei movimenti che hanno voluto ricordare che a quasi un anno dal referendum con cui il popolo difese la Costituzione dalla controriforma di Renzi, tutti i valori ed i principi della Carta sono ignorati o messi in discussione.

Alla manifestazione parteciperanno i lavoratori di Ilva, Alitalia e di tante realtà colpite da migliaia di licenziamenti , i lavoratori migranti in lotta per i diritti più elementari,  i lavoratori pubblici, i vigili del fuoco, i militanti Notav, i giovani precari, gli studenti.  Tutti per fare sentire la loro voce coperta dalle bugie ufficiali che continuano a ripetere come  tutto vada bene.

La manifestazione dell’11 novembre ha come obiettivo quello di “portare in corteo la verità” e la censura dei mass media su di essa dimostra quanto questo slogan sia giusto.

È sempre più evidente che nel nostro paese il regime unico dell’informazione sia una delle parti responsabili della crisi della nostra democrazia. Per questo é ancora più necessario scendere in piazza e farsi vedere e sentire.

Per tutte e tutti coloro che vogliono rivendicare l’abolizione delle leggi vergognose che hanno distrutto lavoro, diritti e stato sociale, per tutte e tutto coloro che non vogliono mollare, l’appuntamento è l’11 novembre alle ore 14 in Piazza Vittorio a Roma.